Diritti
28 aprile 2011
15:27

Arezzo, primo lavoro da giardinieri per tre immigrati

AREZZO - Con la zappa si smuove la terra. Con le mani si sistema la pianta. Con il cuore ci si sente a posto: è lavoro, finalmente. Al suo paese Saif faceva l'autotrasportatore, Imed il muratore, Hafedh lavorava, saltuariamente, in un albergo: giardinieri non ci si inventa, però provare si può. Periferia di Arezzo, la residenza assistita "Dario Maestrini" è luogo di ospitalità per una trentina di anziani non autosufficienti, per alcuni pazienti in coma, per 23 malati di Alzheimer. Qui si sperimentano modelli di ospitalità nuovi per rendere più dolce la vita a chi affronta prove così dure. Qui, da qualche giorno, transita anche il primo biglietto d'accesso alla società occidentale per tre ragazzi dei barconi.

 

 

Li ha assunti la cooperativa sociale Agorà. A fine maggio, lo spazio verde di casa Maestrini dovrà essere inaugurato e servivano maestranze. Saif, Imed e Hanefh erano gli unici tunisini rimasti in zona, a Stia, dopo che gli altri, una volta ricevuto il permesso temporaneo, avevano fatto rotta verso la Germania, la Francia o altre parti d'Italia. Loro non avevano parenti, amici, destinazioni possibili. Erano rimasti, da soli, a chiedersi  quale sarebbe stata la prossima pagina della loro odissea. Poi la chiamata di Vanni Beoni, il presidente della Cooperativa, che li aveva conosciuti a Stia dove aveva seguito la loro ospitalità anche in qualità di volontario della Misericordia.

 

"Zio Vanni", così lo chiamavano affettuosamente, ha pronunciato la parola più attesa: "Travaille, lavoro". Era il motivo del loro viaggio, la ragione primaria di tutti i rischi affrontati. In pochi minuti hanno firmato un contratto a tempo determinato e si sono infilati le tute verdi da lavoro. Una nuova vita può cominciare così. Semplicemente.

 

Ogni mattina dal piccolo appartamento di Stia dove il parroco del paese, don Carlo Corazzesi, continua a ospitarli, i tre tunisini si muovono in pullmino verso Arezzo. Poi, per tutto il giorno, li aspetta la cura e la sistemazione del grande giardino che deve risvegliarsi dall'inverno e mettersi in bella vista per la fine di maggio, quando sarà ufficialmente inaugurato. Devono pulire, vangare, sistemare, mettere a dimora piante e fiori. Il giardino, mi spiegano i due responsabili del centro Massimiliano Cancellieri e Claudia Lucherini, nasce da un progetto in cui la medicina e l'architettura del paesaggio si abbracciano. Fiori e piante devono parlare ai malati di Alzheimer: il loro odore e il loro colore devono richiamarli, diventare punto di riferimento nelle loro passeggiate per stimolare una memoria fiaccata dalla malattia. Da una parte il lavoro per chi è in fuga dalla povertà, dall'altra l'attenzione verso chi non può scappare dalla malattia: in questo giardino la parola accoglienza esplora tutte le direzioni possibili.

 

E' quasi ora di pranzo. Ora si può fare una pausa. Ci mettiamo in cerchio a parlare. Comincio con Hanedh. Ha spalle grandi, viso fiero. Ha anche una moglie e un figlio di due anni, Mennene. Un secondo è in arrivo. Ma, allora, mi chiedo, dove hai trovato la forza di partire? "L'ho fatto per loro. Non si può lavorare una settimana e aspettare per sei. Sono partito per costruire un futuro migliore". E tua moglie? Cosa ti ha detto? Hanedh leva gli occhi verso il cielo come per pregare. Poi pronuncia lentamente tre parole. "Dieu avec toi". Dio sia con te, Dio è con te.

 

Imed ha 28 anni. Troppo pochi per vedere che faccia ha la morte. A lui è capitato al largo del Mediterraneo. Su quel battello stipato a un certo punto tutti cozzavano contro tutti in balia delle onde. Per otto ore, con il motore fuori uso, la barca ha retto solo a forza di speranze e di preghiere. Poi sono arrivati i soccorsi: "Per portarci tutti a riva ci sono volute cinque barche come la nostra" ricorda sorridendo. Il rischio alimenta l'ironia. Ride ancora Imef per raccontarci di averne combinata una, neanche piccola: "Ho avvisato i miei genitori della mia decisione quando ero già a Lampedusa". E loro? "Mi hanno risposto con un lungo silenzio. Ma ora sono più tranquilli".

 

Infine Saif, 20 anni appena. Anche lui ha fatto esperienza della faccia scura della vita. Da Stia aveva provato a muoversi verso Roma. "Città grande, tante possibilità", si era detto. Una banda di nordafricani ha fiutato la sua inesperienza e lo ha aggredito. Lo hanno tramortito con una bomboletta spray. Si sono portati via la borsa, il poco che aveva. Gli è rimasto il permesso di soggiorno e qualche euro, accuratamente nascosto. Ciò che bastava per tornare a Stia, e ricominciare da capo.

 

Il lavoro nel giardino della residenza Maestrini durerà tre settimane. E poi? Poi vedremo, mi dice Vanni Beoni. La disponibilità della cooperativa non mancherà, mi fa capire, ma si dovranno valutare anche le esigenze societarie, l'adattabilità dei tre ragazzi. Non si deve fare assistenzialismo, certo.

Intanto però un giardino entrerà in funzione. Intanto per tre giovani immigrati questo è stato un primo, incoraggiante approccio. Questa storia ha preso una buona piega. Un germoglio da coltivare con cura. In queste settimane Hanedh, Saif e Imed impareranno meglio come.