21 gennaio 2015
17:46

Deja-vu

"La memoria deve diventare coscienza" dice Vera Michelin Salomon, deportata politica a ventuno anni. Oggi novantunenne.  "La memoria non solo ricordo, ma condivisione" ha detto una volta una ragazza tornando a casa dopo aver visto Auschwitz e Birkenau. La condivisione anche del pianto. E ad Auschwitz infatti si piange. 
 
Non accade subito. E qualche ragazzo anche si preoccupa.   E' l'effetto di deja-vu che prova chi attraversa l'Atlantico e visita per la prima volta gli Stati Uniti e tutto sembra in fondo familiare, perch gi visto al cinema e in televisione mille e mille volte. Accade anche con Auschwitz e con Birkenau, già visti al cinema più incombenti e suggestivi forse che dal vero. Ma poi, lentamente arriva il punto di non ritorno: il vaso si rompe e le lacrime escono. 
 
Piangono i giovani come gli adulti. Magari quando meno te la aspetti, quando un particolare anche banale colma il vaso da cui le emozioni raccolte e rinchiuse alla fine straripano. Piange sconvolta da un dramma europeo (europeo solo perchè qui accaduto) chi, figlio di stranieri e cresciuto in Italia, per la legge non neppure italiano. E magari neppure europeo. 
 
Piangono i politici, dopo la proiezione di un documentario girato all'indomani della liberazione di Auschwitz, con immagini viste chissà quante volte.
 
Piange un'insegnante, dopo giorni di racconti e duri colpi allo stomaco ma anche con la gioia di vedere i suoi (e gli altri) ragazzi sempre attenti, seri e curiosi. 
 
Si piange alla vista dei capelli ammassati, delle montagne di scarpe e dei vestiti dei bambini. Si piange vedendo le foto scattate ai deportati all'arrivo e che si srotolano come grandi poster sulle pareti di una delle sale del museo del campo polacco, con mamme e babbi che stringono le mani dei loro bambini. Ognuno con una valigia in mano, ignari del loro destino, apparentemente sereni.
 
Si può piangere gridando nel vento il nome di chi dai campi non più tornato o semplicemente ascoltando oltre cinquecento ragazzi farlo.
 
Si piange alla baracca dei bambini, per un disegno o una scritta sulla parete, si piange a vedere la celle delle punizioni di fianco al muro della morte, i ciucci e le bambole dei neonati o semplicemente al  pensiero di vivere tra i topi, che di tanti orrori in fondo è quello più piccolo.