20 gennaio 2019
20:13

I 23mila rom scomparsi a Birkenau ... e quel pregiudizio che sopravvive

KUFSTEIN (Austria, sul treno) - Il pregiudizio, per l'appunto. Di pregiudizi e stereotipi era infarcita la retorica fascista e nazista, che prima ha escluso e poi portato nei campi di sterminio milioni di persone. Ma il pregiudizio sopravvive anche oggi - prendiamo il caso dei rom e sinti, sterminati come molti altri ad Auschwitz -  e il pregiudizio è talvolta così radicato che per la paura e spesso la quasi certezza di essere malvisto uno preferisce non confessare le proprie origini. Nancy, studentessa di diciassette anni a Prato che vuole andare all'università, non ci gira molto intorno: "A scuola solo una persona sa che vivo in un campo nomadi. Nessuno me l'ha chiesto e a nessuno l'ho detto. Ma sono convinta che se accadesse, qualcosa cambierebbe". Angela, che a Prato fa la cameriera, lo ha patito sulla proprie pelle, con solo tre amiche in classe e licenziata dopo quattro giorni una volta che aveva trovato lavoro: solo perché qualcuno aveva raccontato al titolare le sue origini. Ma fino ad allora non aveva avuto niente da ridire.

Il treno toscano diretto ad Auschwitz ha quasi raggiunto il Brennero e nel vagone ristorante il momento del terzo dei cinque seminari previsti all'andata. Si parla di rom e sinti, per l'appunto. Si parla di quello che è successo ottanta anni fa in Germania. Fu allora che a Birkenau nacque il campo degli zingari. Vi furono reclusi in ventitremila, per poi essere sterminati in pochi giorni, gli ultimi tremila in una sola notte.  Cosa accade non lo ricorderanno loro ma alcuni ebrei, come Liliana Lillu o Pietro Terracina.  Si riflette su quello che succede ancora oggi in Italia: dell'odio che il pregiudizio fomenta, degli spari e dei fuochi appiccati alle roulotte dei rom, del campo nomade sgomberato il 6 dicembre a Gallarate. Tutti in strada e senza alternative.
 
La discriminazione, è la conclusione, nasce con la generalizzazione. E' così che rom e sinti sono diventati 'zingari', un termine coniato allora in Germania come dispregiativo e che è sopravvissuto ai tempi. "E' un questione di conoscenza e di incontro" ripete fino alla sfinimento Ernesto Grandini, sinti di Prato, famiglia di giostrai, il babbo partigiano della brigata "Stella Rossa" che cantava "Bella Ciao" e che ha combattuto sull'appenino bolognese contro i tedeschi autori della strage di Stazzema e Marzobotto. Cita anche Martin Luther King: "Se non viviamo da fratelli, conoscendoci, moriremo da stolti". E racconta che per vincere il pregiudizio in passato ha invitato nel campo nomadi dove vive gli studenti della città. Alcuni sono oggi sul treno, tra i cinquanta che seduti a terra o appiattiti sulle pareti a vetri ascoltano, le gambe contro la schiena di chi sta davanti,  e fanno domande. Prendono appunti. Vogliono capire.

Lo stereotipo è qualcosa duro a morire. Pensiamo ai Rom come giostrai o come donne con le gonne colorate e i capelli raccolti a treccia. Nella famiglia allargata di Ernesto ci sono operai, un regista e insegnante di ballo, uno stilista che espone a Pitti. I nipoti vanno al liceo. "Fortunatamente - spiega - non esistono più le classi speciali degli anni Sessanta e Settanta, sopravvissute fino al 1986: da sei a quattordici anni tutti insieme in un sottoscala, dove era impossibile imparare qualcosa".

La scuola è cambiata. Ma una recente indagine attesta, lo si racconta al seminario, che se sei riconosciuto come sinti, le tue possibilità di carriera e integrazione scolastica diminuiscono. Continuiamo inoltre a considerare rom e sinti stranieri. E invece la maggior parte dei 170 mila che vivono in Italia sono italiani, almeno il 60 per cento  - i sinti, ad esempio,  sono arrivati In Italia  nel Trecento - e oltre il 90 per cento arriva comunque da un paese dell'Unione europea.

Li etichettiamo come ladri o, se va bene, come mendicanti. Pensiamo ai rom e ai sinti come nomadi. Certo alcuni hanno mestieri itineranti. "Ma io  abito in un appartamento  - racconta Demir Mustaf , mediatore in un centro per l'impiego - In Macedonia, dove abitavo fino al 1989, i campo nomadi non esistevano". Sono stati inventati dalle istituzioni italiane, per un frainteso. "E comunque  - dice  ancora Ernesto - se mi offrissero una casa o mi permettessero di ristrutturarne io ci andrei ad abitare".

Ma il pregiudizio rimane e si generalizza ."Perché non ci conosciamo abbastanza -  ripete Ernesto - Siamo italiani come voi". Magari con un senso della famiglia e della comunità più accentuato. Ma non ci si sposa, ad esempio, solo tra rom e sinti.  C'è chi è musulmano e chi è cristiano evangelico, altri sono cattolici. "Se non dico che abito in un campo nomade è tutto a posto. Poi scatta la paura-  dice Angela - perché dicono che i rom rubano e tutti pensano dunque che anche io rubi".  "Se a scuola invece si studiasse la nostra cultura, forse molte diffidenze cadrebbero - le fa eco Nancy - Come non abbiamo paura degli americani e degli scandinavi non si avrebbe paura di rom e sinti. Poi è chiaro che in tutti le case ci sono le mele marce".

Al processo di Norimberga non si parlerà di porrajmos, lo sterminio dei rom e sinti. Qualcuno si lascerà scappare cose del tipo: se l'erano cercata. Pregiudizi, ancora pregiudizi. Duri a morire. E spesso neppure ce ne accorgiamo.

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