I ponti della memoria. Per non dimenticare

Esistono tanti tipi di ponti; di legno, di corda, d'acciaio, di cemento armato. Poi ce ne sono di altro genere, immateriali, che collegano atti, sentimenti, eventi e conseguenti memorie. Poche stanze del dipartimento regionale della cultura in via Farini a Firenze ospitano - per l'appunto accanto al Tempio ebraico di Firenze, dicono una delle più visitate e più belle sinagoghe d'Italia - un piccolo gruppo di "progettisti" di ponti della memoria costruiti dalla Regione Toscana.
Si chiamano Michela Toni, Claudia De Venuto, Massimo Cervelli; i loro riferimenti sono la giovane dirigente del settore museale della Regione, Elena Pianea, e un signore già dirigente regionale, ora in pensione, ma sempre attivissimo, che si chiama Ugo Caffaz. Una piccola task force che cura con pochi mezzi e tanta volontà, sembra incredibile, un enorme carico di memorie che va dal Risorgimento agli anniversari legati ai grandi toscani della storia – Dante, Boccaccio, Michelangelo, Galileo -, incrociando la Shoa e i Treni della memoria a quella collegati, quei convogli carichi di giovani che da anni vanno a vedere da vicino l'orrore di Auschwitz-Birkenau; un universo di ricordi che riuniti formano l'anima stessa, la coscienza collettiva di questa regione sicuramente, e di quella che ne resta dell'intero paese. Che lo si voglia o meno.
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Ogni giorno, senza clamore, questo gruppo di progettisti opera ciascuno nel rispetto dei suoi compiti prioritari – il Treno e il Giorno della memoria per Toni, per Cervelli e De Venuto le celebrazioni e i temi legati alla Resistenza e all'antifascismo -; e accumula le informazioni, belle e brutte, con cui si fanno i mattoni che andranno lentamente a formare l'impianto di iniziative che la Regione mette a disposizione della Toscana perché vivano, e siano costantemente rafforzate le fondamenta del nostro stare insieme. Nella terra dove vecchi e giovani fanno ancora in tanti i volontari semplicemente perché è giusto. Dove esistono musei dedicati a vittime e stragi, e alla Resistenza, perché così deve essere.
"Si deve celebrare l'eredità culturale, non la retorica di una celebrazione. E' la chiave della contemporaneità quella da usare per rileggere gli eventi che ricordiamo". Un esempio, dicono Massimo Cervelli e Claudia De Venuto, sono state le recenti celebrazioni per Boccaccio, "per le quali abbiamo lavorato alla lettura di un Decamerone sempreverde, rivisitato da un gruppo folto di scrittori contemporanei coordinato dal toscanissimo Marco Vichi, che hanno scritto le loro novelle sulla base della Grande crisi contemporanea come nuova peste capace di farci chiudere nelle nostre case", o semplicemente in noi stessi.
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C'è un segreto, confessano, per fare questo lavoro e arrivare agli obiettivi raggiunti. Si chiama capacità di fare rete, di mettere insieme in modo coordinato energie economiche ed organizzative. Nel momento in cui lo Stato si tira indietro dicendo che non ci sono soldi da investire in queste iniziative, in cui il ministero della cultura non organizza più un solo comitato celebrativo "perché non ci sono risorse disponibili", è la strada delle iniziative comuni che regge i la capacità di far funzionare questo incredibile sistema di presidi diffusi della memoria.
Lo scheletro del sistema è rappresentato da una pluralità di soggetti agenti sul territorio; soggetti, nel caso della memoria di lotte e di stragi, come l'Istituto storico della Resistenza con le sue articolazioni a carattere provinciale (l'istituto Apuano e quelli di Grosseto, Livorno, Lucca, Pistoia, Siena); come il Museo dell'emigrazione delle genti di Toscana in Lunigiana; e poi dai musei della memoria, come quello della deportazione di Prato, o quello documentativo di Fosdinovo, e come quello di S.Anna di Stazzema sulla strage là compiuta dai nazi-fascisti. Sono oltre ottanta i siti di stragi compiute in Toscana nel corso dell'ultimo conflitto, si può ben dire che da noi si ricorda facilmente perché si parla di eventi che hanno segnato tante e tante comunità.
"Un sistema da curare e consolidare per un motivo essenziale, a nostro giudizio: senza memoria che futuro si costruisce? Ma si può costruire se siamo riusciti a realizzare un tessuto connettivo, a costruire un percorso condiviso. I centenari, gli anniversari hanno un senso se fanno riflettere sul passato per valutare il presente e quello che verrà". E in fondo con un obiettivo preciso, che è anche una salvaguardia: costruire apparati, ma non formali, aperti e non autoreferenziali, in grado di supplire alla inevitabile, progressiva scomparsa dei testimoni diretti. "I giovani, oggi e domani, hanno il diritto-dovere di sapere per mantenere in vita emozioni che ne fanno e faranno cittadini più consapevoli".
A volte è il caso a fornire materia di lavoro. È accaduto per la vicenda dell'affondamento nel Mar Egeo, a causa di una tempesta, del Piroscafo Oria durante la II Guerra Mondiale, nel quale morirono quattromila soldati italiani presi prigionieri dai nazisti a Rodi; una tragedia dimenticata. I dati ufficiali disponibili sono ancora oggi pochi e frammentari; con la conseguenza che pochissime famiglie hanno ricevuto notizie ufficiali sulla morte dei propri cari, e molte ancora aspettano di sapere come sia effettivamente caduto il proprio congiunto.
L'anno scorso una telefonata dalla Puglia all'anagrafe di Vaiano, in provincia di Prato, annunciava il ritrovamento in prossimità del relitto della nave di una gavetta con la scritta "Vaiano". La Regione Toscana ha subito sostenuto il progetto di ricerca che il Comune di Vaiano e la Fondazione CDSE, con il coordinamento scientifico dell'Università di Siena, hanno deciso di condurre per giungere alla ricostruzione degli eventi legati all'affondamento della nave; l 'obiettivo è di ricostruire la storia dei soldati toscani caduti durante il naufragio e di cercare di ritrovare le famiglie dei militari deceduti.
Belle coincidenze hanno poi portato a legare Toscana, Argentina, Shoa, desaparecidos e Madri di Plaza de Mayo. La prima volta è stato il ritorno nel 2003 in Toscana di Polda Barsottini, "toscana nel mondo" nata a pochi chilometri da S.Anna di Stazzema, a Levigliani per la precisione, emigrata con la famiglia nel 1928 e deceduta nel 2008. La dittatura le portò via il figlio Guillermo Oscar nel 1978, uno dei 30mila dissidenti politici, probabilmente molti di più, fatti sparire dai militari. Per questo diventò una delle Madri di Plaza de Mayo, della cui esperienza portò testimonianza ai toscani grazie ad un incontro con l'allora presidente della Regione Claudio Martini: "Abbiamo fatto quello che ci ordinavano i nostri sentimenti – affermò allora Barsottini -, se ti portano via il meglio della tua vita , non puoi stare a casa. Quello che vogliamo è trovare un po' di giustizia. Non tutta, ma almeno un po' sì".
Il caso di Vera Vigevani Jarach, l'ultimo portato in Toscana solo pochissimo tempo fa dal nostro gruppo di "progettisti", è davvero quello di una testimone che ha vissuto un vita di per sé riassunto delle tragedie del '900. Lei si è definita una "militante della memoria", altre volte una "partigiana della memoria". Rifugiatasi in Argentina nel 1939, a 11 anni, grazie alla prudente lungimiranza della famiglia che, appena emesse dal fascismo le leggi razziali, decise la fuga, sopravvissuta dunque al genocidio, ha perso ad Auschwitz il nonno che non volle lasciare l'Italia. Nel 1976 la dittatura dei generali argentini, che avevano preso il potere con la violenza, le rubò la figlia Franca di appena 18 anni; perì dopo la prigionia e la tortura nelle cantine della famigerata scuola tecnica della Marina, l'ECMA, in uno dei voli della morte sull'Oceano. E anche Vera, per sapere, scelse la lotta pacifica delle Madri di Plaza de Mayo.
Attualizzare la memoria può insomma esorcizzare i rischi per la libertà che sono sempre in agguato, anche se apparentemente sembrano marginali e di piccola entità. Sapere in prima persona e diffondere la conoscenza, soprattutto tra i giovani è uno dei compiti istituzionali che la "task force" di Via Farini porta avanti con efficacia; per far ricordare e far sapere che ci sono state persone capaci di dire no, di opporsi al terrore e alle stragi anche di fronte ai tanti che dicevano sì, costruendo in questo modo le potenzialità e le condizioni per cambiare le cose.
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L'obiettivo è quello di raccontare, al di là dell'attualità politica e amministrativa quotidiana, la complessità della Regione Toscana, un ente nelle cui strutture lavorano oltre 2.350 persone che scrivono leggi, gestiscono contratti e fondi europei, nazionali e regionali; dipendenti pubblici che si occupano di temi e procedure tra i più diversi, tutti con una ricaduta diretta sulle 3 milioni e settecentomila persone che vivono in Toscana: dalla sanità pubblica alla protezione civile, dal trasporto pubblico locale ai bandi per le imprese, dall'assetto del territorio alla cultura.
La rubrica dà conto di questo impegno con cadenza settimanale e in forma multimediale e, in omaggio ad una esigenza di trasparenza e di riconoscimento del lavoro svolto, cercherà di alzare il sipario su una realtà spesso poco conosciuta.