Internazionale
Diritti
4 aprile 2011
13:54

Il dopo rivoluzione nel nord Africa: i 'gelsomini' temono i 'fondamentalisti'

FIRENZE - "La nostra una rivoluzione laica: siamo preoccupati per le correnti islamiche estremiste. Non neghiamo il diritto degli islamici ad avere partiti politici, ma questo deve restare in un ambito democratico. Vogliamo un Paese laico". A parlare Asmaa Aly Mohamed Zaki, una giovaneegiziana che con il suo blog ("We are all Khaled Said") ha contribuito a lanciare la rivoluzione nel suo Paese.

Nella sala Luca Giordano i riflettori si sono appena spenti, dopo l'intervento del presidente di Regione Toscana Enrico Rossi: il convegno organizzato da Regione Toscana e da Provincia di Firenze in Palazzo Medici Riccardi ("Democrazia e cittadinanza mediterranea") si sta concludendo quando, dal pubblico, una domanda ("Perch tutta questa paura per gli islamici?") fa di nuovo intervenire i tre testimoni stranieri invitati.

E un segnale, univoco, di timore per il futuro delle rispettive rivoluzioni "dei gelsomini" arriva non solo dalla blogger egiziana ma pure dal sindacalista tunisino e dalla fondatrice della "associazione tunisina donne democratiche" nonch animatrice del "club dei giovani tunisini".

Abid Briki, segretario dell'Unione Generale Tunisina del Lavoro, premesso che nessuna fra le 800 imprese italiane presenti in Tunisia ad oggi fuggita da un Paese in cos forte transizione, ha convenuto che il movimento dei ribelli "non teme gli islamisti, ma crede nella libert di culto" e dunque "non vuole un governo che imponga una data religione o un dato modo di vestire".

In Tunisia - ha proseguito - "non siamo tranquilli perch ci sono gi verificati vari tentativi di aggirare la rivoluzione. Noi - ha concluso - non chiediamo aiuto finanziario, ma sostegno morale per le nostre battaglie di libert ".

E anche l'altra donna tunisina presente al tavolo - Halima Jou n , nella sua veste di insegnante ed esponente della Lega tunisina per i Diritti Umani oltre che fondatrice dell'associazione "donne democratiche" - ha usato parole esplicite. "Non ci siamo ribellati per un motivo religioso: siamo preoccupati per la corrente salafita e per i rischi di un domani assai complicato" visto che certi movimenti religiosi islamici "non vogliono governare in modo democratico ma gettare le basi di un regime totalitario".

Nel primo giro di interventi, riferendosi alle rivolte, il sindacalista Abid Briki ha tenuto a sottolineare che "chiamarle rivoluzioni del gelsomino significa abbellirle" mentre in realt andrebbero definite "rivoluzioni della dignit e per l'equit sociale di un popolo privato della libert da 50 anni".

Per Briki la rivoluzione in Tunisia " un prodotto della globalizzazione ed partita su motivazioni sociali con la rivendicazione del diritto al lavoro" (su un totale di 500 mila disoccupati, quelli laureati sono 150 mila) cui si sono poi aggiunte le rivolte dei ceti medi per il livello di corruzione di un potere che alternava "il sistema del prete con quello del boia" (buonismo e paternalismo con terrore e torture per chi dissentiva). Prossima tappa, in Tunisia, le elezioni del 24 luglio per una assemblea costituente.

Halima Jou n ha sintetizzato il senso della rivoluzione tunisina con la parola ("d gage") sulla bocca dei rivoltosi che stavano cacciando il presidente Ben Ali. "Vuol dire vattene via, basta con l'inganno e non certo un termine elegante o politicamente corretto, ma rende bene". Per Halima, che si molto soffermata sui diritti della donna, "i primi a essere solidali con i ribelli sono state le societ civili ed da queste che possibile partire per costruire un mondo nuovo mentre troppo spesso i governi hanno sostenuto regimi corrotti e criminali".

Un appello alle societ civili, egiziane e internazionali, anche dalla blogger Aasma Saki ("La nostra rivoluzione non terminata, ancora in corso: occorre che le varie forze della societ civile si alleino per evitare che al potere arrivino le forze islamiche. La nostra intifada il solleamento civile dell'intera societ ".