22 gennaio 2019
11:30

Il fotografo

Il nome, Wilhelm Brasse, forse non lo conosceranno in molti. Le sue foto sono invece molto più note e in molti le avranno viste. Anche chi ad Auschwitz non mai venuto in visita.

Wilhelm Brasse era il fotografo di Auschwitz, un prigioniero polacco privilegiato, sopravvissuto grazie al suo talento, scelto da Hoss per documentare lo sterminio degli 'untermensch". E' morto nel 2012 ma una volta uscito dal campo, a 27 anni, Brasse non riuscì più a scattare una foto e a fotografare nulla.

Le foto di tutti i prigionieri che arrivavano al campo le scattava lui. Ne ritrasse pi di quarantamila. Le vedi ancora oggi, allineate nei blocchi della morte che conducono alle prigioni o sui grandi pannelli del campo museo. Le vedi sui libri. Foto dei deportati appena rasati e con il vestito a strisce. Foto 'rubate' di famiglie con bimbi in braccio che, timorosi ma ancora ignari di ci che li attende, scendono dal treno e si incamminano ancora con le loro valigie, cappotti e pupazzi verso le baracche dove dovranno spogliarsi di tutto. Foto di prigionieri oramai emaciati e ridotti a scheletri, derubati anche del pudore.

Come il crematorium, il Canada e quasi tutto nei lager, anche lo studio fotografico di Auschwitz era organizzato per smaltire con rapidità ed efficienza il proprio compito. Lo sgabello per la posa, un cubo di legno, veniva fatto girare su se stesso da un pedale azionato dal fotografo che, senza allontanarsi dalla fotocamera, in pochi secondi impressionava le tre "viste" d'ordinanza: fronte, profilo e trequarti.

Internato nel 1941 col numero 3444, Brasse era un privilegiato e ne era consapevole. Il lavoro ufficiale gli garantiva la vita, mentre quello ufficioso (ritratti per gli ufficiali) gli procurava qualche agio di contrabbando, cibo, sigarette. Per cinque anni si vedette sfilare davanti i volti e i corpi dei morituri. Sapeva cosa succedeva fuori dalla baracca-studio del blocco 26. Se non lo avesse saputo, glielo avrebbero detto i volti che il suo obiettivo catturava.

Di nascosto provò a volte a ingentilire i tratti dei condannati. Oppure a convincere le guardie ad evitare botte e ceffoni gratuiti, perché le foto sarebbero venute brutte con quelle ombre. Piccoli regali clandestini di dignità .

Fotografava in silenzio. Usciva di rado dalla sua baracca. Ma ad un certo punto Brasse inizi a collaborare con la Resistenza polacca del campo, e all'ultimo, nel fuggi-fuggi generale, con l'Armata rossa alle porte, progettò il più ambizioso dei colpi: salvare le foto e farle uscire dal campo per i posteri, perché potessero credere l'incredibile. Disobbed infatti all'ordine di bruciare tutto l'archivio e abbandonò decine di migliaia di immagini nella baracca dove i russi le avrebbero trovate.