Diritti
10 maggio 2011
15:06

L'esodo delle donne. Loveth e il figlio della speranza

 MASSA MARITTIMA Aicha ha gli occhi infossati e la faccia segnata da un dolore profondo. Agatha curiosa e protettiva verso Loveth, giovane, minuta, dall'espressione dolce. Loveth incinta e lei le sta incollata come se fosse sua madre, non una connazionale incontrata per caso. Poi ci sono Shadeniyi e Kemi, sempre strette ai loro mariti. E ci sono Bashira, che non parla altra lingua che il dialetto della sua trib , e la sua famiglia, gli Aslam, composta da quattro sorelle, un fratello e dal marito della secondogenita. Sono loro le prime donne accolte dal rifugio S.Anna di Massa Marittima, dove la Societ della salute delle Colline metallifere sta restituendo dignit e speranze ai profughi arrivati in Toscana dopo la traversata dalla Libia a Lampedusa.

 

 

 Le prime profughe sono arrivate in Toscana il 7 di maggio. Per venire incontro alle esigenze femminili sono stati necessari nuovi vestiti, nuovi prodotti sanitari, nuovi accorgimenti. E' stata preziosa la presenza a Massa Marittima di una studentessa in mediazione culturale, July Sfulcini, che ha accompagnato le nuove arrivate ai controlli sanitari e spiegato loro le nuove condizioni di vita. July paziente. Resta in disparte, ma il suo lavoro efficace. Insieme a lei c' Riccardo, gi membro di organizzazioni non governative, che collabora volontariamente con le assistenti sociali che gestiscono la struttura. I loro stili sono diversi, ma si combinano bene: Riccardo diventa amico dei maschi, July instaura un legame di confidenza con le femmine. E' un approccio che funziona.

 

 

Aicha Traoure

 

 

 Il suo volto un macigno. E' una maschera in cui si alternano tristezza e assenza. E' come se la sua mente fosse lontana e quando qualcosa la riporta all'oggi l'effetto quello di una frustata. Risponde a monosillabi. E' nata in Costa d'Avorio. Era in Libia per lavoro. Non vuol essere fotografata. Non ha niente da dire. Poi July la raggiunge. Parlano tra loro e guardano i fratelli Aslam giocare a calcio, ma forse quelli che Aicha immagina davanti a s sono i suoi, di bambini. Perch Aicha ha 30 anni e 4 figli in Costa d'Avorio. Li ha affidati a sua madre, mentre lei e il marito hanno affrontato una doppia migrazione, prima in Senegal e poi in Libia, inseguendo il lavoro pur di far sopravvivere la loro famiglia. Ma in Libia suo marito morto. Non dice se ucciso o per cause naturali. Ripete solo Ho perduto mio marito', E' morto'. A July confider che in Libia aveva un lavoro come donna delle pulizie, ma all'improvviso si trovata sola e spinta su una nave con destinazione Lampedusa. Da l stata portata a Massa Marittima. Cosa potrebbe accadere in futuro non le interessa. Ripete solo che ha perduto suo marito, che ha perduto tutto. E quando le ricordiamo i suoi figli, ancora vivi, e le chiediamo se vorrebbe ricongiungersi con loro, si volta quasi impaurita: "Perch ? chiede perch ? i miei figli vanno a scuola, io invece non ho niente".

 

 

Agatha Nyorere, Loveth Jafet e Anoff Stephen

 

 

 

 

 Agatha ha 22 anni ed nata in Nigeria. Due anni fa, dopo la morte del padre, stata costretta a fuggire dal suo Paese perch la madre ha rifiutato le nozze forzate con un parente e, di conseguenza, lei, Agatha e suo fratello sono stati cacciati di casa. "Aiamo andati in Libia a cercare lavoro - spiega - ma poi sono iniziati i bombardamenti. Abbiamo dormito per terra, nei giardini, per paura delle bombe. Poi hanno iniziato a spararci contro". Il racconto diventa concitato, dice di esser stata inseguita da uomini armati che sparavano. Dice di essersi unita ad altre persone che correvano e che la direzione della loro corsa era guidata dagli spari. Senza sapere dove stesse andando, salita su una nave insieme a tutti gli altri in fuga. Poi la nave partita e lei si trovata sola, separata dalla madre e dal fratello, senza alcun effetto personale, senza nessuna idea di ci che l'avrebbe attesa. Torneresti in Nigeria? "No, n in Nigeria, n in Libia. Ho troppa paura". Come ti senti? "Sono preoccupata. Prego che Dio guidi mia madre e mio fratello. Posso solo pregare, non posso fare altro". Conosci qualcuno in Italia? "Io ora sono sola al mondo. So che ritrover mia madre e mio fratello tra le braccia di Dio, ma ora sono loro la mia famiglia: lei mia sorella, lui mio fratello", e mentre parla indica un'altra ragazza nigeriana e suo marito. La ragazza le sorride, Agatha ricambia il sorriso e aggiunge "Aspetta un bambino, da due mesi".

 

 

La ragazza incinta Loveth Jafet, ha anche lei 22 anni ma ne dimostra meno. Sembra una bambina, con i lineamenti delicati e gli occhi grandi su un fisico minuto. Non sembra aspettare un figlio e non parla della sua gravidanza. A parlare per lei sono Agatha o suo marito, Anoff Stephen, che ha solo tre anni pi di lei ma in confronto appare quasi come un gigante.

 

 

Anoff, originario del Ghana, alto ed ha un aspetto forte e severo. Sono sposati da 8 mesi, aspettano un bambino da due. In Libia lui lavorava come autista di autobus e viveva con Loveth in casa con i suoi genitori. "Una notte racconta due ragazzini armati di fucile sono entrati in casa, hanno visto che eravamo neri e hanno iniziato a urlare "Go!". Ci hanno portati in strada e poi messi su una barca". Stappati da sonno, costretti dalla minaccia delle armi, si sono ritrovati in mezzo al Mediterraneo. Come sta ora? "Siamo preoccupati per il bambino". Cerco di capire qualcosa di pi sulle sue speranze, ma mi scontro con la rabbia che brucia nei suoi occhi. "Io non posso sperare. Non posso scegliere. Non ho nulla. Sceglierei tutto e dovunque, mi basterebbe un lavoro per poter ricominciare". Nella sua voce non c' la rassegnazione devota di Agatha, c' la frustrazione di chi ha creduto in una vita che poi gli stata strappata. C' una disperazione profonda ma dignitosa, che non cede alle lacrime ma ribolle nei pugni chiusi.

 

 

 "Only for ladies"

 

 

Originaria del Pakistan, la famiglia Aslam appare subito diversa dagli altri profughi. Indossa abiti tradizionali, ha seri problemi con il cibo perch non riesce ad accettare i sapori mediterranei. Chi lavora al Sant'Anna li descrive come gentili, ma riservati. Riccardo si offre di presentarmi ai due maschi e mi raccomanda di non insistere per incontrare le donne. Ma accade qualcosa di imprevisto: Agatha e Loveth si avvicinano a me e July e ci chiedono se abbiamo delle creme per il viso. La domanda ci coglie di sorpresa, per July ha un'idea: si fa accompagnare a casa e poco dopo torna con in mano una scatola piena di campioncini di profumo, shampoo, creme e lozioni.

Deponiamo la scatola al centro di un tavolo e nel cortile del Sant'Anna accade un miracolo: Aisha esce dal suo torpore e con inattesa autorevolezza prende in mano la distribuzione dei campioncini; Agatha si fa timida e obbediente; le donne della famiglia Aslam si avvicinano e due delle sorelle, Sana e Shabnam, incuriosite, vengono a parlare con me. Si crea un clima complice. Le ragazze raccontano cosa hanno vissuto, parlano delle ansie della madre e delle loro aspettative. Si avvicina Riccardo, lo chiamo per chiedergli aiuto nella traduzione, ma subito loro smettono di ridere e fanno cenno di no. "It's only for ladies", dico a Riccardo, che capisce e si allontana.

 

 

 La famiglia Aslam

 

 

 

La famiglia Aslam ha vissuto in Libia per 22 anni. Tutti i figli di Bashira e Mohamad Aslam si sentono pakistani, ma sono nati e cresciuti in Libia. Il padre lavorava in un'officina meccanica, le due figlie maggiori, Humeira Kouser e Shabnam (26 e 21 anni), erano farmaciste, mentre gli altri tre, Sana (16), Mohamad Zaid (15) e Aqusa (11), andavano a scuola. Ma con la crisi economica prima e la rivolta dopo, la vita in Libia stava diventando troppo pericolosa. A quel punto Mohamed Aslam ha fatto una scelta dolorosa: ha raccolto tutti i risparmi e li ha usati per pagare il viaggio verso Lampedusa della moglie e dei figli. A loro si unito Awaiss Safdar Ali, giovane marito di Shabnam. Mohamad rimasto in Libia, ma il padre lontano una presenza costante nella mente dei diversi membri della famiglia. Le figlie dicono che lo hanno sentito per telefono, che vorrebbe ricongiungersi con loro, ma non ha i soldi per un altro posto sui barconi della speranza. Non appena si parla di barche, Sana rabbrividisce. "Sono pericolose - dice noi siamo rimasti in mare due giorni, senza mangiare e senza bere. Poi la nostra barca ha sbattuto negli scogli e si spezzata. Per fortuna prima di andare gi rimasta incagliata abbastanza da permettere a tutti di scendere. Siamo stati per ore aggrappati agli scogli, poi sono arrivati i poliziotti e ci hanno portati nel centro di accoglienza di Lampedusa".

 

 

Dalle ragazze scopro che esiste anche un'altra sorella che vive in Portogallo. Loro obiettivo sarebbe raggiungerla, ma sono disposte a rimanere dovunque trovino un lavoro. "Prima viene il lavoro spiega Shabnam poi tutto il resto. Io e mio marito ci adatteremo a tutto. L'unica cosa davvero importante sarebbe rivedere mio padre".