27 gennaio 2017
11:54

L'ironia nella tragedia

Come il pugile sinti tedesco ai cui eredi nel 2003, dopo sessanta anni di indifferenza,  fu restituito la cintura di campione dei medi.  La spirale verso l'abisso inizi infatti molto prima dei lager e della deportazione di massa ed proseguita nel silenzio, a lungo, anche dopo.

Rukelie come lo chiamavano, ovvero 'l'albero', stato uno dei primi divi della boxe tedesca. Ma Johann Trollmann era sinti, la sua storia ricordata in un padiglione ad Auschwitz, e non poteva essere tollerato dal regime nazista. La sua vita fin nel febbraio del '43, per mano di un kapò al quale aveva inflitto una dura lezione sul ring in un incontro organizzato davanti a tutti i prigionieri e alla SS del lager. Uno sgarbo troppo grande. E così fu ucciso con un colpo di pistola, al campo di Neuengamme vicino ad Amburgo.   

Johann Trollman uno dei 500 mila rom e sinti vittime del "Porrajmos", sterminio ignorato durante il processo di Norimberga. Invisibile come altri, come quello degli omosessuali ad esempio (ed anche di loro si parla sul treno). Basti pensare che il dottor Ritter e la sua assistente Justin, scienziati che affermarono l'inferiorità di rom e sinti, continuarono a lavorare come psicologi in strutture pubbliche a decidere su affidi e adozioni. Anche degli orfani rom. 

Trollmann era un pugile straordinario e la sua vita si incrociò con le nefandezze del nazionalsocialismo molto prima della deportazione: nel 1933, quando cominciano le persecuzioni di atleti non ariani. Il 9 giugno conferma il suo titolo, in appena sei round; ma un gerarca nazista impone il pareggio e qualche giorno dopo la Federazione gli toglie la corona. Il 21 luglio una nuova sfida: ma le SS mettono le mani avanti e lo costringono a non muoversi dal centro del ring. Lui capisce tutto si presenta con i capelli tinti di biondo e il corpo cosparso di farina, caricatura dell'atleta ariano stereotipato. Perde, ma prova a vincere con l'ironia.