Diritti
Lavoro
8 agosto 2019
17:27

Marcinelle, Rossi e Bugli: "Una doppio monito che arriva dal passato: sicurezza sul lavoro e immigrazione"

FIRENZE - Morirono in 262 quel giorno nella miniera di carbone di St. Charles a Bois du Cazier in Belgio, a Marcinelle: 136 italiani (tra cui tre toscani) e 95 belgi. Era l'8 agosto 1956. Un incendio si sviluppò nel pozzo per una la combustione di olio fuoriuscito da una condotta tranciata, le gallerie si riempirono presto di fumo e per i minatori intrappolati non ci fu scampo. Solo in sette riuscirono a tornare in superficie. Sessantatré anni dopo, nella giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, la Toscana ricorda.

"Quella tragedia del passato è una campana che suona e richiama ancora oggi tutte le istituzioni ad un impegno forte e maggiore per la promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro – sottolinea il presidente della Toscana, Enrico Rossi – Si tratta di una sfida che noi in Toscana abbiamo affrontato in questi anni rafforzando ad esempio gli organici della Asl che devono vigilare ed aumentando i controlli su target e con campagne mirate: a Prato nei capannoni delle aziende cinesi dopo la tragedia della Teresa Moda, ma anche nelle cave di marmo sulle Apuane". "Certi incidenti – richiama – non possono essere attribuiti a semplici fatalità. Servono più controlli, è importante la formazione di lavoratori e imprenditori e si deve pretendere da parte di tutti maggiore responsabilità".

La operazioni di salvataggio furono disperate e proseguirono fino al 23 agosto, quando uno dei soccorritori risalì e sconsolato disse: "Tutti cadaveri". Tra gli incidenti dove si contano più vittime tra i lavoratori italiani all'estero, quello di Marcinelle è il terzo in assoluto dopo Monongah e Dawson negli Stati Uniti. Nel 2002 la Regione Toscana consegnò alle famiglie dei tre minatori toscani rimasti uccisi una medaglia d'oro alla memoria.

Ma la tragedia della miniera di St. Charles a Bois du Cazier racconta anche l'emigrazione italiana. Erano tanti negli anni Cinquanta gli italiani che andavano all'estero in cerca di una lavoro, soprattutto in miniera, e dell'opportunità per un futuro migliore. "Una situazione non molto diversa da quella che oggi spinge tanti a fuggire dai propri paesi, sfidare un viaggio in mare e venire a lavorare in Italia per sfamare le famiglie rimaste a casa" commenta l'assessore alla presidenza e all'immigrazione della Toscana, Vittorio Bugli.

Certo, alla base dell'emigrazione in Belgio, c'era un accordo tra i due Stati: uno scambio tra carbone e forza lavoro a basso costo. Su 142 mila minatori impiegati in Belgio nel 1956, 63 mila erano stranieri e di questi 44 mila arrivavano dall'Italia. Differenze ma anche analogie: vivevano in molti casi in baracche, orari di lavoro massacranti, lavoro a cottimo e razzismo diffuso. Non era tecnicamente ‘clandestini'. "Ma erano comunque sfruttati ed umiliati – conclude Bugli – E proprio quello che è stato e che anche i nostro connazionali hanno subito ci dovrebbe spingere a politiche attive che aiutino l'integrazione di chi oggi viene da noi in cerca di un futuro migliore. Buone pratiche ce ne sono e in Toscana le abbiamo raccolte in libro bianco".