Cultura
13 marzo 2015
14:41

Sant'Anna di Stazzema, da luogo di dolore a luogo che parla di pace

SANT'ANNA DI STAZZEMA (Lu) Sant'Anna gi montagna con i suoi oltre seicento metri, anche se si percepisce il profumo del mare - si vede anche il mare - e dalle spiagge di tutta la Versilia si scorge il monumento alle 560 vittime, ombelico del Parco nazionale della pace voluto nel 2000. E' una montagna su cui il 5 marzo 2015, meno di una settimana fa, si sono abbattuti venti con punte fino a 209 chilometri orari: una vera furia, i cui danni si notano ancora mentre spuntano le prime primule, con gli operai forestali all'opera anche stamani a tagliare gli alberi che si era accasciati sul piazzale all'ingresso del borgo e lungo la stretta strada che risale da Pietrasanta, con il tetto della nuova cappella ancora da inaugurare scoperchiato, con la via crucis impraticabile e la grande lapide mandata in frantumi, quella lapide che metteva in fila i nomi degli innocenti uccisi settantuno anni fa dai tedeschi con l'aiuto dei fascisti.

Oggi a Sant'Anna abitano una trentina di residenti: un borgo fatto di casolari sparsi sulle pareti di una valle che un anfiteatro naturale, con i marmi delle Apuane a far capolino. Allora gli abitanti erano molti di pi (c'erano anche molti sfollati arrivati dalla costa) e i tedeschi praticamente li uccisero quasi tutti: 560 vittime, poi date alle fiamme assieme alle case quasi per provare a cancellarne ogni traccia.

C'erano i tedeschi quella mattina del 12 agosto 1944, ma non solo loro.  "Con la bocca e met volto coperti da una benda c'erano anche uomini e donne che parlavano italiano" raccontano ancora oggi in paese. Collaborazionisti. Insieme ai tedeschi calarono dal crinale che guarda Stazzema, da tre sentieri diversi, e chiusero Sant'Anna ad imbuto. Un'azione premeditata e studiata. Rastrellarono chi poterono e uccisero chiunque trovarono: 560 donne, uomini e bambini.

Il ricordo di Enrico Pieri, che aveva dieci anni
Il paese era diviso in borghetti. Iniziarono dalla Valcareccia: con i primi settanta morti. "Io mi infilai in un sacco di fagioli e cos riuscii a salvarmi" racconta Enrico Pieri, con la voce ancora spezzata dalla commozione al ricordo del babbo, la mamma e le due sorelle trucidate. Lui che allora aveva dieci anni ed oggi il presidente dell'Associazione martiri, uno dei pochi superstiti. Lui che dieci anni dopo la strage emigrato in Svizzera, perch quei luoghi gli ricordavano troppo dolore, ma poi trentadue anni pi tardi tornato e lentamente ha recuperato un rapporto stretto con quel luogo, "dove anche le pietre mi parlano" dice e dove quasi ogni mattina viene a prendersi cura dei sentieri, delle piante o a raccontare la storia di Sant'Anna ai tanti giovani, trentamila, che ogni anno arrivano in paese.

Il museo
La storia di Sant'Anna in fondo la storia di una memoria ritrovata e da conservare, con un messaggio che travalica i confini e i popoli. Una memoria che ha trovato casa nel museo attrezzato in quella che era la scuola del paese, che con un linguaggio moderno e multimediale prova a parlare ai giovani

All'alba la furia omicida
Tutto si consum in poche ore quella mattina del 12 agosto. I tedeschi uccisero nonni, padri e madri, figli e nipoti. Uccisero i paesani ma anche gi sfollati appunto, saliti in montagna in cerca di un rifugio dalla guerra. Uccisero Anna Pardini, l'ultima nata del paese che aveva appena venti giorni, lei che non aveva una foto per ricordarla e fu fotografata da morta, nella lapide posta su un muro del monumento ossario accanto alla mamma e la sorella di sedici. Uccisero Evelina, che quella mattina aveva le doglie del parto. Uccisero Genny, la madre che prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagli lo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle. Uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati di risparmiare la sua gente. Uccisero pi di un prete. Uccisero gli otto fratellini Tucci con la loro mamma. Uccisero tanti ragazzi e bambini che non avevano ancora sedici anni e che riempiono, con i loro volti, un pannello intero del museo.

Tanti nomi e tante storie che aspettano ora di ritrovare posto su quella lapide mandata in frantumi dall'uragano.