Diritti
6 aprile 2011
15:00

Santa Maria a Morello (Fi), obiettivo Francia

SESTO FIORENTINO (Fi) - Ventenni. Molti sono appena ventenni, fumano molto, parlano arabo e solo qualcuno un po' di francese, hanno la vitalit e l'energia dei vent'anni, ma sguardi ombrosi, senza spensieratezza. Si chiamano Ahmed, Khaled, Mabruk, Nabil, tunisini. Sono alcuni dei trenta ospiti della canonica di Santa Maria a Morello, sbarcati a Livorno meno di 48 ore fa da Lampedusa e arrivati in piena notte tra gli ulivi della collina-montagna che sovrasta Sesto Fiorentino. I tre minorenni che facevano parte del gruppo sono stati trasferiti in un'altra struttura, al loro posto nel pomeriggio di oggi sono arrivati tre nuovi "migranti". Gran parte di loro, lo dicono subito, vorrebbero restarci, restare in Italia.

Travail, papier, fianc e. Giovani, maschi, tunisini. Con tre parole in testa, travail, papier, fianc e o in alternativa mariage. Lavoro, permesso di soggiorno, fidanzata. Sono queste le tre leve, i tre minimi comun denominatori dei loro sogni. Per trovare un lavoro si sono avventurati nel canale di Sicilia, per guadagnare qualcosa di pi di una mera sopravvivenza sono saliti in piena notte in Tunisia su imbarcazioni di fortuna, 24-26 ore di traversata per approdare a Lampedusa. "L dormivamo in strada, una brutta esperienza, e la paura di rimanere prigionieri dell'isola. Tanti con un coltello si sono feriti volontariamente alle mani o alle braccia pur di venir via da l . Io ho dovuto aspettare qualche giorno prima di ripartire" dice Khaled.

Khaled, 27 anni, uno dei pi vecchi del gruppo di tunisini che, arrivando a Monte Morello, troviamo seduti su uno dei muretti sotto la canonica. Sono le sei di pomeriggio. Fuori del cancello, due agenti dalla Guardia di finanza, un uomo e una donna, anche loro giovani, esercitano una presenza discreta. Il mediatore culturale se ne andato gi alle quattro. Ai ragazzi ci introduce Daniele, uno dei due operatori della Caritas che li accudiscono e vivranno con loro durante la loro permanenza. E' un posto di pace. Tutto intorno campi di ulivi immersi nel verde tenero di inizio primavera, di fianco le pendici del Monte Morello ancora un po' spoglio.

Tutti hanno in tasca "un'attestazione" con le loro generalit e una richiesta di asilo politico. Pur sempre un inizio di sicurezza. Khaled ha lo sguardo teso, serrato, ma non ostile. Parla francese. Mi metto a parlare con lui, ci sediamo su dei tronchi tagliati in mezzo agli ulivi. La diffidenza iniziale piano piano si scioglie. Khaled viene da Jendouba, e vuole andare in Francia. Questa italiana per lui solo una parentesi. Non gli interessa restare qui. La sua testa altrove. "Per questo la notte non riesco a dormire dice je r fl chis, je r fl chis". Fuma un sigaretta dopo l'altra. E' la paura di non riuscire ad arrivare a Marsiglia, dove ha una zia e un cugino che lo aspettano e sono disposti ad aiutarlo. E' la paura che ci sia qualche intoppo, la paura di essere ricacciato indietro alla frontiera, come ha visto succedere in televisione. La sua tensione tutta rivolta all'obiettivo "France".

A Jendouba Khaled lavorava in campagna, faceva il contadino. "Ho cominciato a lavorare presto. A 10 anni ho dovuto lasciare la scuola perch morto mio padre. Cos ho affiancato mio nonno, che lavorava la terra e aveva 10 montoni. Quando morto anche mio nonno li ho venduti. E mi sono messo a coltivare il grano. Ma per coltivare la terra c' bisogno di acqua e l'acqua la dovevo comprare. E il prezzo alto". Cos il guadagno era minimo, visto che Khaled, nel suo ruolo di capofamiglia doveva pensare a sua madre, a due fratelli e a una sorella. Da due anni stava pensando come venire in Europa. Con la caduta di Ben Ali si sono aperte le porte.

La sua famiglia era d'accordo? "Mia madre no. Non voleva che partissi - racconta - Infatti non le ho detto la verit . Quando sono andato via da casa le ho detto che andavo a cercare lavoro in un'altra citt . Poi invece l'ho chiamata da Lampedusa. E lei non smetteva di piangere. Elle pleurait, elle pleurait. Anche uno dei miei fratelli voleva partire con me. Ma mi sono imposto. Ho fatto il padre di famiglia. Gliel'ho impedito. Meglio che parta solo un figlio, non due. Ma io lo faccio solo per la mia famiglia, per gagner de l'argent perch possano vivere meglio".

Nel frattempo altri ragazzi ci hanno raggiunto e si formato un capannello l in mezzo al prato tra gli ulivi. Gli altri parlano solo arabo. E' ancora Khaled il contadino che filtra le loro storie, i loro racconti. Quello di Nabil, 24 anni, di Sfax, carpentiere, che dalla Tunisia era andato a cercare lavoro in Libia. Con lui era andato in Libia a Tripoli anche l'amico barbiere. "Facevamo cassa comune dice Nabil - campavamo meglio che in Tunisia dove per una giornata di lavoro raccatti al massimo 7 dinari, in pratica 3 euro, meno che un pacchetto di sigarette e un caff . Ma con la guerra siamo scappati". Ora nella canonica sono in cinque di Sfax, cinque amici, e tutti con quel sogno del "travail". "Travail et dormir - dice Nabil - Inshallah. Se vuole Allah. Io so costruire i tetti delle case. Sono sicuro che un lavoro lo trovo". Anche Mabruk, che di mestiere fa il cuoco, fiducioso. E tanto per cominciare si subito infilato in cucina per dare una mano ai due operatori della Caritas.

Artefici di questo clima sereno alcuni dei ragazzi si sono messi a giocare a pallone nel prato, altri parlano (e fumano) sul muretto, a una cancellata appeso il bucato sono i due operatori della Caritas, Daniele e Alessio, che prima di accomiatarci vogliono farci vedere come sono sistemati i giovani tunisini in questa casa che di solito accoglie gruppi di boy scout. Stanze gradevoli con letti a castello, docce. Alcune sono camere con vista, con la valle che a quest'ora inondata di una luce rosata. "Ed ancora pi affascinante la sera, con Firenze gi nella piana" si entusiasma Daniele. Gli d ragione Abdul che dal suo letto pu contemplare il panorama. S , questo un luogo di pace e di dignit . Ne sarebbe contento Don Milani, che sorride in mezzo ai suoi allievi in numerose foto attaccate alle pareti delle stanze. La dignit della vita umana, il diritto alla dignit . E mentre seguiamo un po' titubanti i due operatori, preoccupate di invadere queste se pur provvisorie privacy, ci raggiunge trafelato un altro Khaled, di Gabes. Vuole solo dirci "Grazie. Grazie Firenze".

Lorenza Pampaloni