Sociale
Diritti
30 maggio 2011
16:00

Villaggio 'La Brocchi', la felicità ritrovata di mamma Happy

BORGO SAN LORENZO (FI), 30 maggio 2011 - Il treno stavolta è arrivato a destinazione addirittura in anticipo, come se intuisse quanto tutti aspettassero quel momento. Quindici lunghe ore e diciassette fermate, da Palermo a Campo di Marte. Tanto è durato il viaggio della signora Happy, felice di nome e finalmente anche di fatto. Negli ultimi ventisette chilometri di curve, tornanti e strade di fondovalle, a bordo del Doblò della Protezione civile della Provincia di Firenze che l'ha accompagnata dalla stazione ferroviaria fiorentina fin sù nel Mugello, la ragazza nigeriana, che da nove anni viveva in Libia, non dice una parola. Ma appena l'auto si ferma davanti al Villaggio "La Brocchi" schizza letteralmente fuori dall'auto. Non riesce più a trattenersi e di corsa si arrampica su per la scala esterna della colonica verso la stanza, al primo piano, dove l'aspettano il marito e i due figli di neppure quattro e due anni, che non vedeva oramai da un mese, da quando, dopo lo sbarco a Lampedusa, le loro strade si erano quasi subito divise.

 

 

Non sono ancora le otto di mattina quando la signora Happy arriva al villaggio, immerso nella campagna appena fuori Borgo San Lorenzo, su un lieve terrapieno sopra la Sieve. Ma sono già tutti svegli, da tempo. Agitati, emozionati ma soprattutto finalmente contenti: lei, il marito e i figli, ma anche gli operatori che da due settimane, lottando contro la burocrazia, hanno cercato e fortemente voluto questo ricongiungimento. E' il primo da quando, all'inizio di aprile, la Toscana ha accolto i migranti e poi i profughi del Nord Africa. Israel, il babbo, si era presentato al centro con una lettera, scritta da un'assistente sociale di Manduria in Puglia. Lì dentro c'era tutta la sua storia e le informazioni necessarie per rintracciare la signora Happy. "Consegnala appena arrivi in Toscana" gli avevano detto. Così ha fatto ed è riuscito a riabbracciare la moglie.

 

La bella notizia, a lungo attesa, era arrivata venerdì mattina, due settimane dopo il suo arrivo al villaggio nel Mugello. "Mamma arriverà qui, ecco i documenti firmati" aveva spiegato tre giorni fa Luigi Andreini, il presidente dell'associazione che gestisce la struttura, a Israel, a Ruth e a Prosper. La famiglia era partita insieme da Misurata, il 26 aprile. Vivevano in Libia da nove anni, oramai: i bambini erano nati lì. Israel, 35 anni, poteva contare su un lavoro da addetto alle pulizie in un impianto dell'Agip, sufficiente di che vivere. Purtroppo è scoppiata la guerra civile e sono dovuti fuggire. Cinque giorni per arrivare a Lampedusa: poi il trasferimento, destinazione Manduria. Ma appena sbarcata sull'isola la signora Happy si era sentita male ed era stata ricoverata in ospedale a Palermo. E' lì che si sono separati. All'ospedale ha perso il bimbo che avevo in grembo e quando, giorni dopo, è stata dimessa, è stata assegnata ad una struttura di accoglienza a Santa Cristina di Gela, in Sicilia. Perché? Misteri da azzeccagarbugli. Ricongiungersi al resto della famiglia sarebbe sembrato ovvio, ma il buon senso non sempre va d'accordo con la burocrazia. Alla fine, dopo l'interessamento degli operatori, della Regione Toscana e della Provincia, la firma decisiva ce l'ha messa il vice prefetto di Firenze. Tre giorni fa, appunto. E subito è stato organizzato il viaggio verso la Toscana.

 

Patricia, argentina e operatrice del centro, è partita domenica da Borgo San Lorenzo e dalla stazione di Palermo ha subito spedito un messaggio con il telefonino. Dentro c'era una foto: la signora Happy con le valigie in mano davanti al treno, la conferma che mamma stava arrivando. E "mummy, mummy!" gridano Ruth e Prosper, quando Luigi, il gestore del villaggio, fa loro vedere la foto sul cellulare. "Sarei partito con un'auto, pur di riportala dalla sua famiglia" confessa. La mattina dopo è sempre Patrizia ad avvertire dell'arrivo a Firenze e Israel è talmente emozionato da lasciare l'acqua del rubinetto del bagno aperta, mentre prepara i bambini per l'arrivo della mamma. Quel che accade dopo è una scena di gioia autentica, ma anche intima. Chiudiamo allora la porta e ci allontaniamo in punta di piedi.

 

Gli alloggi del villaggio "La Brocchi" sono stanze, più o meno grandi, con il bagno in camera e una cucina comune. Rimbiancate e rimesse a nuovo ogni volta che arriva una nuova famiglia, tengono a sottolineare al centro. Passano i minuti e quando Israel più tardi scende al piano terra sembra letteralmente volare sui gradini: d'un tratto il fardello di preoccupazioni che si portava addosso si è fatto un po' più leggero. Sorride. Scherza, anche. Poi scende la figlia: un ciuffo di riccioli raccolti sopra la testa. Si stringe al babbo, come tutte le bambine di tre anni e mezzo. Prosper si mangia invece la mamma con gli occhi. Se ne sta in braccio, ben avvinghiato, e non sembra proprio intenzionato a mollare la presa. E' lunedì, ma è decisamente un giorno di festa in questo angolo di Mugello. La compilazione dei documenti per la richiesta di asilo di Happy e la visite mediche sono tutte tutte rinviate al giorno dopo. Intanto Luigi, davanti ad una tazza di caffè, ci racconta il villaggio "La Brocchi". "E' la ventisettesima famiglia di immigrati in cerca di rifugio e asilo che accogliamo qui dal 2004 – spiega – La novantanovesima dal 1992, considerando altri appartamenti che abbiamo a Borgo San Lorenzo. In tutto una ventina di nazionalità diverse".

 

L'accoglienza in Toscana ha infatti radici lontane. "Oggi ci sono i riflettori dei media - spiega - ma facciamo questo lavoro da tempo". Sono otto i comuni in Toscana che ospitano strutture per immigrati che richiedono asilo. E nella villa trasformata in villaggio multietnico, ristrutturato appena sette anni fa da Regione, Provincia, Prefettura, Istituto degli Innocenti, Comunità montana e Comuni di Borgo San Lorenzo e Firenze, con la collaborazione anche della Fondazione Michelucci, ci sono altre quattro famiglie in questo momento. Con sette figli, tre nati nell'ultimo anno, e tutte in attesa di una risposta alla loro domanda di asilo. Notiamo un ragazzo che scende per prendere il pullman che lo porterà a scuola. Altri due bambini libanesi si preparano per l'asilo. Famiglie che vogliono integrarsi. Famiglie con storie a volte a simili a quella di Israel. Famiglie che da subito si sono strette attorno al babbo solo che è arrivato con due bimbi. Perché la forza del villaggio è anche questa e, come insegna un vecchio proverbio africano, "serve un villaggio intero per allevare un figlio"

 

Intanto continuiamo a girare per la struttura, che è davvero un piccolo angolo di paradiso, e Luigi indica una scritta che i vecchi proprietari di villa "La Brocchi" fecero incidere nel Settecento sull'architrave del vecchio torrione medievale allora ristrutturato: "Ex terrore delicium" ovvero "da luogo di terrore a luogo di gioia e delizia". Alludevano al passato bellico dell'edificio: prima di diventare una villa accogliente era solo una fortezza e una torre d'avvistamento. Ma non si potevano scegliere parole migliori per descrivere l'attuale seconda vita del complesso architettonico, che dà appunto rifugio a molti che sono fuggiti dai loro paesi per la guerra o per le persecuzioni. Sul lato opposto della torre un'altra epigrafe: "Parvula sed satis", piccola ma sufficiente, ovvero l'essenza di quello che dovrebbe essere ogni casa. Perché Villa Brocchi è per le famiglie che vi arrivano una stazione di transito. "Ci stanno sei mesi, a volte un anno – racconta sempre Luigi - : il tempo necessario per ottenere lo status di rifugiato, trovare un lavoro e una nuova casa". La metà di loro in questi anni è rimasta in zona. Qualcuno si è spostato: anche all'estero, verso il nord Europa. Ma per tutto quel tempo villa La Brocchi è sicuramente la loro casa. E probabilmente anche qualcosa di più.

 

Il villaggio non offre infatti solo accoglienza: un tetto e quattro mura. Aiuta queste famiglie a sbrigarsela con la burocrazia. Ricostruisce le loro storie per la domanda di asilo. Li accompagna nella ricerca di un lavoro e di una casa: è un ponte tra passato e futuro, una grande famiglia, ma anche uno spazio aperto. Agli ultimi due piani del vecchio torrione del villaggio, di fianco alla chiesa e poco più in alto rispetto alla casa che ospita le famiglie, ci sono infatti una sala conferenze, grandi aule e un centro di documentazione sulla pace e l'interculturalità. Si organizzano anche corsi di italiano per bambini immigrati: non solo quelli ospiti del centro. Dal villaggio al paese di Borgo San Lorenzo in fondo c'è poco più di un chilometro: ancora di meno passando per un vecchio sentiero che si dirige verso la Sieve, lì davanti. Si organizzano serate musicali, letture, incontri. D'estate c'è il cinema sotto le stelle, per tutto il paese. C'è una casa vacanze. C'è il wi-fi per mantenere, grazie ad internet, i contatti con i paesi di origine. C'è addirittura un ristorante multietnico, da qualche tempo. "L'integrazione si fa in due: un passo avanti per ciascuno" spiegano. Sembra ovvio, ma a volte sfugge. E così per "Progetto accoglienza", l'associazione che gestisce la struttura, l'obiettivo è anche quello di far incontrare, tra loro, immigrati e italiani.

 

Continuo a girare e la visita oramai è quasi finita. Attorno alla villa ci sono vialetti e piazzuole, un cortile, una grande terrazza e un parco. Nel giardino secolare dominano i cedri del Maghreb, che neppure sapevo che esistessero prima d'ora: nel mezzo, il 'diverso', è un solitario pino nostrano. La suggestione è evidente. Ci insegna che i ruoli spesso cambiano, che il mondo non si ferma attorno a noi, che le rotte dei migranti le fa la storia (all'improvviso anche) e che a volte è davvero semplicemente una questione di prospettiva. Saluto di nuovo Israel, Ruth e Prosper, saluto Luigi e Patricia e mentre me ne vado guardo di nuovo quegli alberi, i cedri e il pino.