'Per Bersani e il Pd l´unica strada è una nuova squadra che guidi il partito'

29 gennaio 2011
10:21

'Per Bersani e il Pd l´unica strada è una nuova squadra che guidi il partito'

«Quello che è accaduto a Napoli è un fatto gravissimo, che mette alla prova l´intera classe dirigente del partito, e innanzitutto il segretario. In una situazione del genere, un vero leader manda a casa la squadra, ne fa una totalmente nuova e la investe della guida del partito». All´indomani del dramma primarie di Napoli, il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi scende in campo e lancia una sorta di ultimatum al Pd, nonché al suo segretario nazionale: «O si cambia, o il Pd non andrà da nessuna parte».

Innanzitutto, le primarie. Il caso Napoli impone di decidere: tenerle, riformarle o buttarle?

«Sia chiaro: le primarie sono una via d´uscita democratica dalla personalizzazione della politica, ma non sono un valore fondativo del partito. Sono uno strumento, da usare quando davvero ci sono alternative da sottoporre ai cittadini, e senza escludere che si possa anche subito convergere tutti su un unico candidato. Ma aprire un gazebo e far votare il primo che passa non ha più senso. Servono regole, e cioè elenchi degli elettori, come negli Usa, in modo che chi si esprime si assuma una precisa responsabilità verso il partito. Non vanno abolite, ma così come sono, le primarie rischiano solo di accentuare frammentazioni e personalismi mortificando il confronto politico interno».

E siccome le primarie si tengono allo stesso modo ovunque, Napoli potrebbe non essere un caso isolato?

«Certo, potrebbe accadere lo stesso anche qui, in Toscana. Non è possibile che la partecipazione di una parte minoritaria del corpo elettorale, senza alcuna regola, possa diventare determinante. Bisogna uscire dalla concezione delle primarie come lavacro popolar-populistico che finisce per far vincere chi ha lavorato più sulla promozione di sé che su un impegno vero. E se la legge elettorale non cambierà, per ridare un minimo di potere ai cittadini sarà doveroso ristabilire un ordine del candidati. Anche per il consiglio regionale».

Bersani ha rinviato l´assemblea nazionale del partito, che doveva tenersi a Napoli. Ma non era, al contrario, proprio il caso di tenerla?

«Sì, questo mi ha stupito, è una decisione molto grave. Ma appunto per questo dico che non possono non corrispondervi gesti veramente di svolta. Credo di interpretare quello che sentono tanti cittadini: in un partito così, io non mi riconosco più».

Riformare le primarie però non basterà. Lei, bersaniano, prima ha evocato «un vero leader»: ha dei dubbi sulla leadership attuale del Pd?

«No, e infatti dico che è a Bersani che spetta l´iniziativa. Ma insisto: il caso di Napoli dimostra che il Pd ha bisogno di una svolta vera. Il partito deve superare l´inaccettabile personalizzazione cui sembra essersi ridotta la sua iniziativa politica, le rivalità fra capi e capetti animati da ambizioni che non hanno niente a che vedere con il bene comune, e recuperare partendo dal basso una rappresentanza reale degli interessi e dei gruppi sociali del paese. Cioè rifare politica uscendo dallo schema imposto da Berlusconi».

E per fare questo pensa che il gruppo dirigente vada azzerato. Ma non è quello che, beccandosi anche le sue reprimende, ha già detto Matteo Renzi?

«Il vero rinnovamento non si esprime in forme che danneggiano il partito esasperando i conflitti. Non si tratta di rottamare nessuno, ma di aprire un confronto per arrivare a un cambio della guardia vero, di grande respiro, e a partire dal basso. La sconfitta di Veltroni alle ultime elezioni ha concluso definitivamente l´impegno di chi ha tenuto insieme il partito dagli anni ´90 ad oggi. E per farlo la strada è una sola: Bersani formi un organismo nazionale radicalmente nuovo, snello, di non più di 60-70 persone, che si riunisca regolarmente coi segretari regionali e con le maggiori cariche istituzionali del Pd, un organismo che non soffochi il pluralismo ma al cui interno si ritrovi veramente il gusto del dibattito e della sintesi politica. Lo faccia selezionando, e non cooptando, i migliori fra chi si è messo alla prova nelle realtà locali, nel partito e nelle amministrazioni pubbliche. E gli metta davvero in mano il Pd. Sapendo che Berlusconi lo si rimanda a casa solo attraverso la politica».

Vuol dire che le mobilitazioni di piazza, come la raccolta di firme contro il capo del governo promossa dal suo partito, non servono?

«Servono, andrò anch´io a firmare, ma penso che abbia senso soprattutto la proposta politica del Pd di far cadere Berlusconi insieme a tutte le opposizioni intorno ad alcuni riferimenti di base da offrire al paese, come legge elettorale e riforma della giustizia. E che intanto si ricostruisca una squadra di partito capace di discutere al suo interno da posizioni anche diverse, ma capaci di giungere a sintesi politica. Ripeto: un leader dimostra solo così, e non attraverso un estenuante esercizio di mediazione, di essere un vero leader».

Di Maria Cristina Carratù per Repubblica Firenze del 29 gennaio 2011