20 gennaio 2015
10:23

In fila davanti alla camera a gas, sapendo di morire

Milioni di deportati e pochi tentativi di fuga. Perchè? E' comprensibile anche che non pensasse a fuggire chi oramai non ne aveva più la forza. Con mezzolitro di brodaglia al giorno, trecento grammi di pane secco, due tazze di surrogato di caffè, un cucchiaio di marmellata di barbabietola mista a segature, costretti tutto il giorno a lavori utili (o inutili), nei lager la speranza di vita era di poche settimane, qualche mese al massimo. Salvo rari casi. E le forze ti abbandonavano presto.

Ma possibile che ex soldati o partigiani ed oppositori politici, gente gi abituata a combattere e resistere, non abbia mai pensato a fuggire? Almeno qualche volta. La risposta di Marcello Martini, staffetta partigiana di Montemurlo a Prato e deportato da Firenze a 14 anni, spiazzante. "C'era la fila fuori dalla camera a gas" dice. Una fila ordinata, composta. Non erano le file delle prime selezioni appena sbarcati dai carri piombati. Sapevano cosa succedeva. Sapevano di andare a morire. "Ma ti mettevano in fila e ci stavi: perchè qualsiasi altra cosa era peggio in fondo. Ed in fondo era una morte più pietosa rispetto a tante altre".

E poi organizzarsi e fuggire non era semplice. "Pensate dice ancora Martini ad un campo con 25 lingue diverse, dove era difficile intendersi: figurarsi pianificare una fuga. Pensate ad un campo dove per un cucchiaio, non una tazza ma solo un cucchiaio di zuppa in più avreste venduto vostra madre. Un campo di larve, fatto di uomini con il polso più grosso del tricipede. Dove ognuno viveva per sè". E poi c'era il timore delle rappresaglie, per chi rimaneva.