24 gennaio 2017
21:12

Nel bosco delle betulle

C'era neve anche oggi a Birkenau. E nevischiava, sotto un cielo lattiginoso bucato ogni tanto dal sole. Neve e ghiaccio a sprazzi: più ghiaccio che neve. Birkenau appare alla mattina come una distesa  piatta senza fine e a chiazze, grande 170 chilometri che sono più di trecento campi sportivi. E sono proprio le dimensioni e la vastità che più colpiscono del campo, progettato per ospitare fino a 200 mila persone alla volta.

Birkenau in tedesco (Brzezinka in polacco) vuol dire "bosco delle betulle". E un bosco c'era davvero. C'erano anche otto villaggi, rasi al suolo per fare il vuoto attorno.  Cammini e non vedi la fine, da una parte e dall'altra. Con Auschwitz, Monowitz e i diversi sottocampi si arrivava a quaranta chilometri quadrati. Delle baracche in molti casi rimangono solo i resti delle stufe e dei camini costruiti con i classici mattoni rossi. Non sempre venivano accese e poi, la notte, dai vetri rotti e gli spifferi diffusi cadeva acqua e neve. "In un caso o nell'altro faceva sempre freddo" raccontano Andra e Tatiana Bucci, allora bambine. C'erano anche baracche in legno, stalle da campo trasformate alla bisogna in alloggi: duecento quarantaquattro, la maggioranza. 

Birkenau era il campo del dottor Mengele, l'angelo della morte, il medico che si divertiva (e non fu il solo) a fare esperimenti su prigionieri ed anche su bambini. Birkenau era il campo anche di Luigi Ferri, un bambino di 12 anni, sopravvissuto anche lui e che sembra aver ispirato "La vita bella" di Benigni. Riuscì a salvarsi aiutato appunto dai deportati che lo nascosero per qualche mese tra di loro, impedendo che venisse subito ucciso.

C'era anche uno spicchio di campo più 'umano' ma era solo una sorta di 'specchio per le allodole", creato nel caso di ispezioni della Croce Rossa. Una era anche attesa, a giugno del 1944 (e a tutti furono consegnate cartoline postali perchè scrivessero ai parenti che stavano bene, le notizie vere staano già uscendo dal campo);  ma di ispezioni non ce ne furono e gli ultimi ospiti del campo delle famiglie del ghetto di Therensienstadt furono alla fine tutti uccisi, come i 23 mila Rom e Sinti del campo famiglia poco distante, da dove sono passati (e morti) 11 mila bambini.

Tutto attorno silenzio. Mancano i rumori sordi di colpi e botte dispensati spesso  senza motivo, non ci sono le raffiche dei mitra, l'abbaiare dei cani o il pianto dei bambini strappati alle mamme. Puoi  solo immaginarli. Ma anche se non li senti, l'angoscia ti sale comunque dentro e ti scorre sulla pelle.

C'era anche più freddo allora, fino a quaranta gradi sotto zero. Stamani ce n'erano appena tre; e i deportati non erano certo attrezzati, vestiti solo di un 'pigiama' a righe leggero e un paio di zoccoli ai piedi, inadeguati gli uni e gli altri alla stagione e spesso anche alla taglia della persona. 

Ti imbatti nei racconti delle guide in apparenti gesti di umanità, come quando da un certo momento in poi i tedeschi decisero di costruire latrine e bagni, che all'inizio erano davvero pochi: bagni addirittura interni alle baracche, per i bambini. Ma il motivo in verità era che i detenuti abili morivano troppo velocemente, mettendo a rischio la produzione industriale, e le epidemie che potevano scoppiare per le misere condizioni igieniche rischiavano di mettere a rischio la vita degli stessi soldati.

Scopri anche che nei campi di sterminio c'erano le scuole, per i più piccoli. A Birkenau c'era. Ma molti di quelli stessi bambini, dopo meno di sei mesi, venivano passati per le camere a gas o annegati in una pozza d'acqua. Oppure impiccati.

Ti raccontano che a costruire i forni crematori erano una piccola azienda a conduzione familiare di Erfurt. Come le camere a gas sono stati fatti saltare in aria quasi tutti, dai tedeschi in ritirata, per cancellare le prove dei crimini commessi. E sapevano gli operai di quella ditta e i titolari a cosa servivano quei forni, perchè i loro ingegneri hanno partecipato dopo ogni installazione ai collaudi. 

Scopri che chi veniva indirizzato alle camere a gas veniva caricato su camion con il simbolo della Croce Rossa: ultimo sadico inganno, per salvare le apparenze ma soprattutto per evitare sommosse e ribellioni. Perchè tutto nei campi era calcolato in maniera precisa.