24 gennaio 2017
21:14

Quelle foto che stringono il cuore

Non le abbiamo viste stamani. Sono le tante foto delle famiglie inghiottite nella voragine infernale di Auschwitz. Quelle della famiglia Huppert, ad esempio. Sono appese su una delle pareti della "Zauna",  l'edificio nel quale gli ebrei che avevano scampato la selezione e le altre persone che si avviavano alla detenzione venivano spogliate, rasate, lavate con getti di acqua gelida e poi tatuate.  Era il posto dove i nomi diventavano numeri e là quei numeri tornano ad essere un volto, qualche volta anche una storia.

Sono le fotografie di famiglia che i deportati si portavano dietro, convinti magari di essere trasferiti non in un campo di sterminio ma in un ghetto. Un nuovo ghetto, a volte. Dovevano essere distrutte quelle foto, ma si sono salvate. Spesso solo l'unica cosa che rimane di chi ritraggono.  Su una papà Artur scrive sotto la foto del figlio Peter, neppure sei anni: "Possa vivere 120 anni". Un pugno nello stomaco e che stringe il cuore.

Come quella foto, scattata stavolta da nazisti, che lungo il sentiero nel bosco delle betulle ritrae una famiglia, bambini compresi, che sembrano in gita con i genitori. Mangiano. Appaiono tutto sommati spensierati. E invece neppure un'ora dopo finiranno in una camera a gas.

Perchè non fuggirono? Perch non si ribellarono? La domanda nasce spontanea. E qualcuno, talvolta, magari ci provò anche. "Ma ragioniamo da uomini liberi quali oggi siamo ammonisce Michele Andreola, una delle due sole guide italiane ad Auschwitz Ma quei deportati non erano liberi." Vivevano in una società che aveva loro tolto la libertà.