FIRENZE - Il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi è intervenuto stamani alla commemorazione del settantesimo anniversario della "Battaglia di Piombino" del 10 settembre 1943.
Questo il testo del suo discorso.
Oggi celebriamo il 70° Anniversario della "Battaglia di Piombino" del 10 settembre 1943. La città, dopo una lunga attesa, ha ottenuto nell'ottobre del 2000 il riconoscimento della Medaglia d'Oro al Valor Militare, conferitale dall'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
I fatti di Piombino, come Cefalonia o Porta San Paolo a Roma, prefigurano la Liberazione. Possiamo dire che, per certi versi, la "Battaglia di Piombino" rappresenta un'anticipazione della Liberazione, ne racchiude alcuni elementi fondamentali, specie l'unità delle componenti militari e civili, che fu elemento fondante della Resistenza italiana.
A Piombino, città operaia con forte radicamento antifascista, la Liberazione si sentiva nell'aria già il 25 Luglio, alla deposizione di Mussolini. L'entusiasmo popolare era forte e motivato e portava con sé la speranza della fine della dittatura fascista che per vent'anni aveva calpestato i diritti degli italiani trascinandoli nel degrado morale e nella rovina materiale, la liberazione dalla guerra e dalle sue atrocità, la liberazione dalla paura e dalle sofferenze che segnavano la vita degli uomini e delle donne, il riscatto di una condizione operaia miserevole e senza diritti.
Oggi commemoriamo il 70° Anniversario di un evento che costrinse alla resa le forze tedesche dopo un tentativo di sbarco e di occupazione del porto e della città, complice il generale De Vecchi, comandante della 215° divisione Costiera.
La popolazione reagì con vaste manifestazioni di protesta organizzate dal "Comitato di concentrazione antifascista" e con la richiesta alle nostre forze armate, manifestamente divise ai loro vertici, di difendere la città e le sue infrastrutture. Si ottenne così di rafforzare le batterie con i volontari e di sostenere i reparti corazzati con gruppi di civili in armi, cercando di colmare le lacune dell'apparato bellico. Un'azione congiunta che costrinse i tedeschi alla resa all'alba dell'11 settembre.
Ma a causa del caos istituzionale, che seguì l'armistizio dell'8 settembre ‘43 e della mancanza di una guida autorevole e di una responsabilità nazionale delle classi dirigenti italiane, a partire dalla famiglia reale, a breve giunse poi l'ordine del generale De Vecchi di liberare i tedeschi fatti prigionieri e di restituire loro le armi, seguito dal dissolvimento dei nostri comandi militari e dalla consegna della città alle forze tedesche, concordata dal Comando di divisione.
I protagonisti della battaglia contro i tedeschi, militari, operai, marinai, ufficiali si videro costretti alla macchia e dettero vita alle prime formazioni partigiane sulle Colline metallifere.
La "Battaglia di Piombino" resta tuttavia una testimonianza straordinaria del coraggio e dell'eroismo di chi lottò per riconquistare l'onore del nostro Paese, dopo la tragica esperienza del nazifascismo.
Il popolo, gli operai di Piombino, lottarono insieme ai militari, agli ufficiali, ai marinai, gli stessi che, dopo l'armistizio confluirono nelle formazioni partigiane oltre che nelle nuove forze armate, a costituire il Corpo Italiano di Liberazione.
E' giusto ricordare anche quella che è stata definita la "Resistenza senz'armi", con riferimento agli oltre 650mila militari italiani, i cosiddetti IMI, internati militari italiani, catturati dopo l'8 Settembre e deportati nel territorio del Terzo Reich.
La stragrande maggioranza di loro si rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e di combattere a fianco dei nazisti preferendo i campi di prigionia ed il lavoro forzato, dove molti di loro trovarono la morte per le privazioni e vessazioni subite.
In Toscana questo ampio schieramento affiancò l'azione della V° Armata americana e della VIII° armata britannica, combattendo contro l'esercito tedesco in ritirata e gli alleati fascisti della Repubblica Sociale Italiana.
La Toscana ha pagato un prezzo alto per riconquistare la libertà: 4.461, è il numero dei cittadini vittime degli eccidi nazifascisti. Abbiamo avuto un decimo di tutti i danni di guerra e centinaia di deportati, 281 le stragi compiute e 83 Comuni toscani che, tra il '43 ed il '45, hanno subito la tragedia della violenza nazifascista.
Tutto questo è accaduto. Tutto questo non può essere dimenticato.
Dobbiamo trovare le forme e i modi più opportuni per trasmettere questo patrimonio di valori ai nostri ragazzi e ragazze. La conoscenza del passato è decisiva per impedire il ripetersi delle tragedie che hanno segnato in profondità il nostro Paese e il mondo.
L'esserci guadagnati lo status di co-belligeranti nella coalizione internazionale antifascista che sconfisse il nazifascismo, ci consentì di conquistare la sovranità che rese possibile il disegno della nostra Costituzione repubblicana.
Una Costituzione che ha proclamato l'uguaglianza di TUTTI i cittadini davanti alla legge; che riconosce ad ogni persona bisogni insopprimibili, diritti inalienabili e doveri civili; che ha costruito uno Stato fondato sulla divisione e l'articolazione dei poteri e che gli ha affidato compiti attivi nell'affermazione dei diritti.
Soprattutto una Costituzione che garantisce, per la prima volta, il diritto di voto alle donne, il ripudio della guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali, il diritto di ciascun individuo ad ottenere dallo Stato il riconoscimento e la difesa delle proprie libertà, che sono inviolabili. E' una conquista decisiva, che vuol contribuire a mettere la parola "fine" agli orrori che abbiamo conosciuto nel Novecento.
Il secolo appena concluso ci trasmette un'eredità terribile, fatta di stragi, guerre totali che hanno i civili come obiettivo, mobilitazioni sociali finalizzate a preparare i conflitti, disumanizzazione e demonizzazione dell'avversario.
Una delle lezioni politiche dello Sterminio di cui Zygmunt Bauman parla, è che le salvaguardie interne alla struttura della moderna società civilizzata "…sono state messe alla prova…e tutte hanno fallito, ad una ad una e nel loro complesso".
Da una tale catastrofe siamo usciti certo segnati, ma non sconfitti. Anzi per impedire il ritorno a quel passato, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si sono costruite barriere giuridiche contro il razzismo ed il genocidio; basti pensare alle Carte internazionali a tutela dei diritti umani. Erano e sono ancora oggi dei baluardi contro le ideologie omicide e liberticide, che però devono essere continuamente attivate e difese.
In Toscana abbiamo scommesso sui giovani e sulla scuola, organizzando iniziative di formazione e ricerca.
Con il "Treno della memoria" abbiamo portato quasi 6mila studenti toscani a vedere e "toccare con mano" i campi di sterminio nazista, accompagnati dai loro insegnanti e da testimoni sopravvissuti all'orrore.
Abbiamo fatto la formazione per gli insegnanti e favorito l'attività di documentazione e di ricerca sull'antisemitismo, sul razzismo; sulle stragi di civili nel biennio '43-'45. Ci siamo costituiti parte civile nei processi che in questi anni hanno individuato i responsabili di rappresaglie e stragi. Abbiamo organizzato congressi internazionali per approfondire la natura e le origini delle ideologie di sterminio che hanno funestato il Novecento.
Questo impegno straordinario fa da volano alla sensibilità diffusa che è radicata nella società toscana e che si traduce in moltissime iniziative promosse da enti locali, scuole, associazioni, volontariato.
Vediamo, tuttavia, anche dei segnali che ci indicano il riemergere del razzismo e dell'intolleranza, del rifiuto del dialogo e della ripresa di atteggiamenti di disprezzo delle regole della convivenza democratica. Questi segnali non vanno sottovalutati.
E' un fatto che molte conquiste che sembravano scontate, acquisite una volta per tutte, sono a rischio e si consumano in fretta. Dobbiamo confrontarci con grandi questioni. In primo luogo la pace, che abbiamo garantito nell'Europa post-bellica ma che è una delle sfide incombenti, tra conflitti irrisolti e drammatici in vaste aree del pianeta e scenari carichi di incognite e di rischi nel Mediterraneo e nel Medio Oriente.
Anche la democrazia sente il peso di questioni incombenti come la crisi della rappresentatività, della partecipazione e la necessità di forme dell'impegno civile, e della capacità delle formazioni politiche di interpretare l'evoluzione della società ed offrire soluzioni ai problemi.
Servono strumenti di partecipazione e di decisione adeguati al nostro tempo, per impedire il logoramento del principio democratico e per difendere e sviluppare quei valori per i quali così tanti giovani persero la vita e così tante distruzioni e sofferenze furono inflitte al nostro Paese.
Serve un rinnovamento della politica che sia frutto di partecipazione e di ascolto veri, che offra un progetto, che risponda ai bisogni, che abbia il realismo del cambiamento, che eviti gli slogan ad effetto lanciati sul mercato della comunicazione; ormai la drammaticità della crisi li fa invecchiare in un batter d'occhio. O in un tweet.
Voglio accennare a quello che considero il cuore della crisi, una questione potenzialmente dirompente. E' il tema dell'uguaglianza, che richiama nell'immediato la necessità di sostegno ai lavoratori colpiti ed alle imprese per reggere l'impatto e cogliere il momento della ripresa. La crisi industriale è tema che la Regione ha al centro delle sue attenzioni, come testimoniano i provvedimenti anticrisi che abbiamo messo in campo in questo periodo, rivolti ai lavoratori che hanno perso il lavoro, alle imprese e alle famiglie in difficoltà.
L'aggravarsi degli squilibri impone anche di garantire tutele e sostegni efficaci alle persone più colpite dalla fase recessiva, sia nella perdita del lavoro, sia nella diminuita capacità di acquisto di beni e servizi. Nuove povertà si sommano a quelle vecchie e vanno a colpire le fasce deboli della popolazione: giovani, donne, anziani, malati e disabili con relative famiglie, ma anche 40-50enni che perdono il lavoro.
A Bretton Woods i vincitori della seconda guerra mondiale siglarono nel Luglio '44 un grande compromesso che, in definitiva, stabiliva il divieto di circolazione dei capitali in cambio della libertà di circolazione delle merci. Gli obiettivi politici di fondo erano l'equilibrio delle bilance dei pagamenti e la piena occupazione. Protagonisti furono gli Stati nazionali ed i loro welfare.
L'accordo ha resistito fino agli anni '70 poi, dopo la crisi petrolifera, la libertà di movimento dei capitali è stata la mossa decisiva per avviare la rivoluzione che ha imposto la vittoria del capitalismo finanziario ed il trionfo del liberismo e del pensiero unico.
La crisi finanziaria internazionale iniziata nel 2008 si è presto trasformata in crisi economica generalizzata, segnando il cambio generale di fase, con vincitori e vinti ed una spinta ulteriore alla concentrazione della ricchezza mediante un gigantesco trasferimento di risorse dal basso verso l'alto.
L'ascensore sociale si è bloccato da un pezzo, come ognuno può verificare intorno a sé. Questa lunga crisi però segna anche la fine del ciclo di egemonia liberista nel pensiero economico e nella vita politica, anche all'interno delle formazioni che storicamente rappresentano il lavoro e i non garantiti, sebbene ciò non emerga sempre con nettezza. L'egemonia liberista ha significato in questi decenni concentrazione della ricchezza a scapito del lavoro e aumento delle disuguaglianze. Il premio Nobel per l'economia Paul Krugman l'ha definita la Terza Depressione mondiale.
Alcuni economisti sostengono che la cosiddetta "economia del debito", che ha generato la crisi attuale, sia stata anche lo strumento per occultare l'impoverimento progressivo della classe media e rimandare l'appuntamento con la realtà.
I titoli del nuovo rapporto della Banca svizzera Ubs sulla ricchezza nel mondo parlano di «ultra wealth», ultra ricchezza. In tutto il mondo, i super-ricchi censiti dal rapporto sono 199.235 -una cifra record- nelle cui mani si concentra una fortuna complessiva di più di 21mila miliardi di euro. I numeri crescono un po' dappertutto, in Europa e anche in Italia, che è, in termini di reddito, sempre più disuguale. Peggio di noi, tra le nazioni cosiddette sviluppate, solo Messico, Turchia, Portogallo, Stati Uniti e Polonia. Secondo Banca d'Italia il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% della ricchezza nazionale.
Don Paolo Gessaga, parroco della periferia romana, ha detto che oggi "...la povertà è accanto a noi. Diffusa e afona, al pari della disuguaglianza. E' meno apparente, ma più profonda".
Occorre riscoprire il valore del lavoro e della persona contro l'economia di carta ed il predominio assoluto dei mercati finanziari. Dobbiamo avere l'ossessione del lavoro e, allo stesso tempo, sentire il bisogno di più giustizia, di una più equa distribuzione della ricchezza.
Proprio il tema dei diritti e della democrazia è tirato in ballo da questa lunga transizione, come ci insegna anche l'esperienza del passato. L' art. 3 della nostra Costituzione prende posizione sul tema dell'uguaglianza:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Qui l'uguaglianza è dispiegata nei suoi contenuti più ampi, politici, civili, economici, morali e pongono alla Repubblica obblighi concreti.
Su questo terreno abbiamo seri ed evidenti problemi in termini di storia ma anche di cronaca politica.
Credo che questa consapevolezza sia indispensabile e, in definitiva, rappresenti anche il modo più giusto di testimoniare la riconoscenza verso quanti pagarono con la loro vita il prezzo della ricostruzione della nostra libertà e della nostra democrazia
La Medaglia d'Oro conferita alla città di Piombino è, oltre che un giusto e dovuto riconoscimento, anche la promessa di continuare il cammino del progresso e dei diritti, che è anche quello dello sviluppo e della civilizzazione per gli uomini e le donne di questo Paese.