Cultura
30 gennaio 2013
10:02

Fuggire dai lager? Un pensiero lontano. 'E la vera liberazione era spesso la morte'

Fuggire dai lager? Un pensiero lontano. 'E la vera liberazione era spesso la morte'

CRACOVIA (Polonia) Un bambino certo non pensa a fuggire. "Il vivere nel lager, l'essere deportati in quanto ebrei, era diventata la cosa più naturale del mondo" confessa Tatiana Bucci ai ragazzi toscani del cinema Kijov. Sopravvissuta, assieme alla sorella Andra, perchè selezionate per gli esperimenti del dottor Mengele. "Certo spiega meglio - nessuno aveva una parola di affetto, nessuno ci rimboccava le coperte. Per un bambino terribile. Faceva un gran freddo: la fame invece no, non me la ricordo. Ma il lager era diventata la nostra casa, come le cataste di morti che vedevamo attorno. E poi, si sa, i bambini si distraggono con niente. D'inverno giocavamo a palle di neve".

E' comprensibile anche che non pensasse a fuggire chi oramai non ne aveva più la forza. Con mezzolitro di brodaglia al giorno, trecento grammi di pane secco, due tazze di surrogato di caffè , un cucchiaio di marmellata di barbabietola mista a segature, costretti tutto il giorno a lavori utili (o inutili), nei lager la speranza di vita era di poche settimane, qualche mese al massimo di solito. Salvo rari casi. E le forze ti abbandonavano presto.

Ma possibile che ex soldati o partigiani ed oppositori politici, gente già abituata a combattere e resiste, non abbia mai pensato a fuggire? La risposta di Marcello Martini, staffetta partigiana di Montemurlo a Prato e deportato da Firenze a 14 anni - "da cocco di casa all'inferno, in poche ore e pochi giorni" racconta spiazzante. "C'era la fila fuori dalla camera a gas" dice. Una fila ordinata, composta. Non erano le file delle prime selezioni appena sbarcati dai carri piombati. Sapevano cosa succedeva. Sapevano di andare a morire. "Ma ti mettevano in fila e ci stavi: perchè qualsiasi altra cosa era peggio in fondo spiega ai ragazzi il 'diavolo' di Montemurlo Ed in fondo era una morte più pietosa rispetto a tante altre". "Certo conclude qualche tentativo di fuga c'è stato. Accadde suil treno, durante un trasferimento. Ne scapparono otto. I tedeschi minacciavano una decimazione per ogni fuggitivo. Furono tutti ripresi":

E poi organizzarsi e fuggire non era semplice. "Pensate dice ancora Martini ad un campo con 25 lingue diverse, dove era difficile intendersi: figurarsi pianificare una fuga. Pensate ad un campo dove per un cucchiaio, non una tazza ma solo un cucchiaio di zuppa in più avreste venduto vostra madre. Un campo di larve, fatto di uomini con il polso più grosso del tricipede. Dove ognuno viveva per sè ".

Ad Auschwitz e Birkenau, raccontava il giorno prima la guida al campo, si era organizzato nel corso degli anni un movimento di resistenza interna collegato alla Resistenza esterna. Approfittando delle uscite per lavorare nelle fabbriche e nei campi, 250 marchi tedeschi al giorno doveva rendere un prigioniero, da Birkenau ed Auschwitz a volte uscivano documenti. Arrivavano comunicazioni. Così uscì , grazie ai partigiani della Resistenza polacca, anche un rullino con sette scatti che ritraevano cataste di corpi senza vita e nudi, usciti così dalle camera a gas. Sarebbe dovuto arrivare a Londra ma non partì mai. Come anche le rivolte interne, quando ci furono ne racconta nel suo libro pure Shlomo Venezia - ebbero spesso poco successo e furono presto soffocate.

In cinque anni ad Auschwitz ci provarono in ottocento. Appena ottocento su oltre un milione e mezzo di deportati. In 144 ce la fecero.