20 gennaio 2019
15:01

Ghetto e intolleranza

Sfreccia il treno nella pianura padana, non troppo distante da Mantova. Qui una storia ci riporta indietro nel Cinquecento, una storia fatta di stelle gialle appuntate sopra i vestiti, molto prima del Novecento.

Gli ebrei erano di casa nella città , ben voluti dai principi locali. I primi si era insediati nel Trecento, prima prestatori (ovvero banchieri) e poi artigiani e commercianti di panni di lana, drappi di seta ed altri preziosi. Erano duemila nel Cinquecento. Poi nel 1555 il pontificato di Paolo VI chiese che la loro libertà fosse limitata e ugualmente le attività economiche. Voleva pure che portassero  un segno giallo di riconoscimento  e che venissero confinati entro recinti chiusi. Era la nascita dei ghetti.

A Mantova fu istituito nel 1611. Ma contro gli ebrei l'ostilità dei ceti popolari, combinata alla propaganda francescana, gi si era scagliata negli anni precedenti.  Nel 1600 fu arsa viva Giuditta Franchetti, accusata di essere una strega.  Due anni dopo sette ebrei furono appesi ad una forca con i piedi all'insù , fatti uccidere dal Duca per aver inscenato  una parodia delle prediche antigiudaiche di una frate minore. Tutte dimostrazioni di intransigenza, che l'anticamera del fanatismo. E da l all'espulsione il passo fu breve.  

Dovettero passare quasi due secoli, fino al 1781 con Maria Teresa d'Austria, perché gli ebrei non fossero più obbligati ad esibire un segno di distinzione e potessero tornare ad acquistare immobili e condurre terreni.  Ma la storia purtroppo a volte si ripete, non uguale ma simile. E negli anni Trenta del Novecento arrivarono prima le leggi razziali e poi la deportazione.  Due lapidi nella galleria di ingresso al Palazzo del Municipio riportano i nomi degli ebrei mantovani uccisi nei campi di sterminio nazisti: novantanove, su centoquattro deportati.  Tra loro c'erano due bambini con meno di dieci anni e dieci adolescenti.