18 gennaio 2017
18:20

Primo Levi

Hai un manoscritto. Ti dicono che non convince e che non sarà pubblicato. E ci stai male: non tanto per l'orgoglio ferito di scrittore ma perchè in quel racconto c'è la tua ed altre storie, storie di vita e di morte in un lager, emblema di uno degli abissi più profondi toccati dall'umanità.

Non potevamo che iniziare le parole di questo viaggio con Primo Levi, lo scrittore e reduce scomparso trenta anni fa e a cui è dedicata questa edizione del treno della memoria. Non tutti sanno forse che per anni non riuscì a pubblicare il suo capolavoro, Se questo è un uomo, poi stampato da una piccola casa editrice:  2500 copie e solo 1500 vendute.

Siamo nel 1947, a Torino. Levi ha tra le mani il manoscritto, bocciato da Einaudi.  Natalia Ginzburg ha dato il parere negativo. Levi lo consegna allora a un suo caro amico, un ebreo comunista trasferitosi a Vercelli, Silvio Ortona, che inizia a pubblicarlo a puntate su un settimanale locale, L'Amico del Popolo, organo della Federazione comunista vercellese.

Da lì la storia nota: Se questo è un uomo esce nel 1947 per i tipi della casa editrice De Silva, di Torino. Calvino lo recensisce positivamente su L'Unità. Ma il successo letterario arriverà solo anni dopo, assieme al recupero della memoria.

L'Italia (e il mondo) volevano dimenticare. In molti ripetevano che la Shoah era un'esagerazione. Se non ricordiamo, però,  non possiamo comprendere.  Lo ha detto  una volta lo scrittore Edward Morgan Forster. Rinunciamo così alla memoria, che con la storia la più grande difesa di fronte al ripetersi degli orrori.  Evidentemente ci rinunciamo spesso. E pensare che Levi scrisse "Se questo è un uomo" mosso soprattutto, come racconta lui stesso, dal bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri. Perchè "Auschwitz (ancora) intorno a noi, nell'aria" diceva. "E' successo in Germania gli faceva eco l'attore Charlie Chaplin -, ma le stesse cellule malate si trovano nel corpo di ogni nazione, pronte ad entrare in attività".