Cultura
28 gennaio 2013
17:00

Quattro ore sotto la neve, nel campo senza fine di Birkenau

Quattro ore sotto la neve, nel campo senza fine di Birkenau

OSWIECIM (Polonia) - Nelle quattro ore sotto la fitta neve che cade sul campo di Birkenau, il paese del bosco delle betulle dove sette villaggi furono rasi al suolo per far posto al più grande campo di sterminio nazista, il secondo in ordine di tempo dopo Auschwitz 1, la vastità che per prima ti colpisce. Cammini e non vedi la fine, da una parte e dall'altra. E questo sconvolge i ragazzi come i meno giovani.

Birkenau, progettato per ospitare fino a 200 mila persone alla volta, si estende infatti come 350 campi da calcio. Con Auschwitz, Monowitz e i sottocampi si arrivava addirittura a quaranta chilometri quadrati.

Fa freddo nel primo giorno in Polonia dei 557 ragazzi toscani del treno della memoria, arrivati di buon mattino, alle 7.15, ad Oswiecim. Bianchi i campi e la strada, bianco il cielo. Ma durante la guerra faceva ancora più freddo, raccontano le guide: anche 35 o 40 gradi sotto zero, con indosso una divisa leggera ed un paio di zoccoli. I ragazzi ascoltano, prendono appunti, scattano foto. Ma metro dopo metro il cuore si stringe, gli sguardi si alzano e i visi si accigliano. Cercano risposte e non le trovano: difficile del resto trovarle. Qualcuno si fa coraggio e chiede alle sorelle Bucci cosa hanno provato. Loro appoggiano a terra, davanti ad un carro piombato, un sasso bianco, come si usa tra gli ebrei sulle tombe.

I numeri di Birkeanu sono da brivido. Un milione di morti. Settanta anni fa c'erano 300 baracche: 244 erano in legno, stalle da campo trasformate alla bisogna in alloggi. Ognuna aveva una stufa, prevista dal regolamento, ma il regolamento non obbligava ad accenderla e la notte, dai vetri rotti e gli spifferi diffusi, cadeva acqua e neve. C'era anche uno spicchio di campo più 'umano', 'specchio per le allodole" nel caso di ispezioni della Croce Rossa. Non ce ne furono e i suoi ospiti furono tutti uccisi, come i 23 mila Rom e Sinti del campo famiglia al margine destro, abitato da 11 mila bambini.

Prima che i convogli entrassero direttamente nel campo attraverso la famosa porta della morte, che stamani affiorava dalla nebbia come uno spettro, i treni si fermavano un chilometro più in là alla JudenRampe, il binario degli ebrei. A metà strada tra Birkenau e Auschwitz. Un carro bestiame piombato ancora là : a destra la morte sicura e a sinistra (forse) la speranza di sopravvivere. Ed dalla Judenrampe che parte la visita. Anche noi siamo scese qua dice a bassa voce voce Tatiana Bucci. Aveva 4 anni, la sorella Andra sei. "Dentro quel vagone - ricordano - eravamo in 60, non ce la facevamo nemmeno tutti a stare accovacciati a sedere". Il primo convoglio dall'Italia arrivò il 23 ottobre 1943, dentro erano in 1024. Entrarono nel campo 149 uomini e 47 donne. Quando Auschwitz fu liberato solo 16 di loro erano ancora vivi.

Chilometri nella neve, gli scheletri in mattone dei camini che ricordano quante baracche fossero state erette e riempite. C'è anche una foto di bambini con le mamme in attesa. Sembrano giocare, ignari. Attraversare i lunghi sentieri di Birkenau d solo una timida e parziale rappresentazione delle crudeltà e della vita in un campo di sterminio. La mostra fotografica al termine della 'sauna', con decine e decine di foto di famiglia trovate in una valigia rimasta sepolta chissà come nel fango, offre, al posto di tanti numeri che danno il capogiro, un volto e un nome a quel milione e mezzo di persone che dall'intero complesso di Auschwitz sono uscite solo come fumo dai camini. E' poco forse. Ma abbastanza perchè ti venga un groppo alla gola, per provare rabbia e vergogna o per comprendere come molti, presi dalla disperazione, non ce l'abbiamo fatta e si siano suicidati prima, andando incontro al filo spinato elettrico che con 16 mila pali in cemento circondava dentro e fuori il campo. Ma il più delle volte, prima della scarica elettrica, arrivava la sventagliata di mitra delle guardie sulle torrette.