Cultura
23 gennaio 2013
11:03

I testimoni 2013

Testimoni dello sterminio. Marian, sopravvissuto al ghetto ed oggi regista. E poi Andra, Tatiana, Marcello e Antonio

I testimoni 2013

FIRENZE Vedere con i propri occhi (almeno quello che rimasto) e provare a immaginare. Ma anche ascoltare da chi nei campi c'è stato e lo sterminio e le crudeltà del regime nazista l'ha patito sulla propria pelle. Il treno della memoria viaggio e testimonianza. Nel 2005 gli studenti toscani che salirono sul Treno della memoria assistettero al racconto di Shlomo Venezia, sopravvissuto dopo esser stato parte del Sonderdkommando (unità speciale impiegata nella gestione della camera a gas e dei forni crematori) di Auschwitz-Birkenau. Un'esperienza che ti cambia.

In tutte e sette le edizioni alle spalle non sono mai mancati testimoni diretti dello sterminio nazista: ex deportati, politici o razziali. E così sarà anche quest'anno. Ci saranno le sorelle Andra e Tatiana Bucci, note per essere state le uniche bambine italiane sopravvissute dopo esser state deportate ad Auschwitz ed essere state scelte dal dottor Mengele come cavie per i propri esperimenti. Per loro la sesta volta con il treno toscano (ed altre con altre regioni). Dopo la guerra, sono tornate la prima volta ad Auschwitz e Birkenau negli anni Novanta. Ma mai avevano avuto il coraggio di entrare nel Museo di Auschwitz. Troppo doloroso, hanno confessato. L'hanno fatto due anni fa, assieme proprio ai ragazzi toscani.

Con le sorelle Bucci torna anche Marcello Martini, giovane staffetta partigiana della Resistenza toscana a Prato, deportato all'età di quattordici anni a Mathausen, e Antonio Ceseri, uno dei 600 mila militari italiani internati all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943, rappresentante di quella che Alessandro Natta ha definito "l'altra Resistenza, sopravvissuto alla strage dei soldati italiani a Treunebrietzen in Germania". Non saranno sul treno: arriveranno in aereo ma parleranno con i ragazzi toscani. Come due anni fa. Quattro testimoni diversi due ebree, un partigiano e un soldato che disse "no" alla Repubblica di Sal della ferocia di quegli anni di guerra.

In più quest'anno ci sarà Marian Marzynski. Aveva tre anni quando nel 1940 fu rinchiuso nel ghetto di Varsavia, scampato alla deportazione e alla morte dopo essere stato nascosto dai genitori prima da alcune famiglie e poi in un orfanotrofio gestito da religiosi cattolici. Oggi vive negli Stati Uniti e fa il regista. E' la novità dell'edizione 2013 del Treno della memoria, dedicata alla rivolta. E al cinema Kijow di Cracovia il 28 gennaio i ragazzi toscani, primi in Italia, potranno assistere alla proiezione di "Never Forget to lie". il più recente dei film autobiografici di Marzynski, prodotto nel 2011 ed ora sottotitolato. Il titolo - "Never forget to lie", ovvero "Non dimenticarti di mentire" - nient'altro che la raccomandazione fatta allora a tanti altri bambini ebrei come Marzinski, chiave per sopravvivere.

LE BIOGRAFIE

Andra e Tatiana Bucci, due bambine ebree ad Auschwitz

Le due sorelle sono figlie di Giovanni Bucci, fiumano cattolico, e di Mira, madre ebree la cui famiglia, originaria della Bielorussia, si era trasferita a Fiume per mettersi in salvo dai pogrom zaristi dei primi del Novecento. Nel marzo del 1944 , Andra e Tatiana, che allora avevano 4 e 6 anni, furono deportate ad Auschwitz insieme al cugino Sergio De Simone di 6 anni, dopo due giorni passati alla Risiera di San Saba, lager triestino. Furono scambiate per gemelle e questa fu la loro salvezza in un campo, come quello di Auschwitz, dove su oltre 200 mila bambini deportati poco meno di cinquanta sono sopravvissuti. Il fatto di essere gemelle le fece infatti diventare interessanti per gli studi del dottor Mengele. Vengono liberate il 27 gennaio 1945, il giorno della liberazione del campo di Auschwitz. Il cuginetto Sergio, invece, prelevato dal lager insieme ad altri bambini su autorizzazione di Himmler, viene usato come cavia in orribili esperimenti e poi assassinato nei sotterranei di una scuola di Amburgo. Dopo la liberazione, Andrea e Tatiana, che assai presto avevano perso contatti con la mamma nel periodo della permanenza al campo, furono condotte in un orfanotrofio vicino a Praga, dove restarono fino al marzo 1946. Di seguito, fino a dicembre, furono ospiti di un orfanotrofio inglese, il Weir Courrteney Hostel a Lingfield nel Surrey. Solo grazie ai numeri tatuati, tenuti a mente con amorevole disperazione dalla madre, i genitori e la famiglia riuscirono dopo oltre due anni a rintracciarle, aiutate dal Comitato per i rifugiati ebrei di Londra e dalla Croce Rossa Internazionale. Tatiana e Andra hanno partecipato ai viaggi del Treno della Memoria nel 2004 a Majdanek-Varsavia e nel 2005, 2007, 2009 e 2011 ad Auschwitz , trasmettendo ai giovani il ricordo del loro sguardo di bambine nell'inferno di Auschwitz.

Marcello Martini, staffetta partigiana

Marcello MartiniE' figlio del maggiore Mario Martini, comandante militare del Comitato di Liberazione Nazionale della zona di Prato. Nel 1944 aveva solo quattordici anni ma compiva importanti e pericolose azioni come staffetta partigiana: apparteneva al gruppo Radio Cora con mansioni di informatore. Tutta la sua famiglia era attiva nella Resistenza e il 9 giugno, dopo che il gruppo di Radio Cora fu scoperto e arrestato a Firenze, anche la casa di Montemurlo della famiglia Martini fu circondata dalle SS e tutti i suoi componenti (eccetto il figlio Piero, non presente in quel momento) babbo, mamma, i fratelli Anna e Marcello, catturati. Solo il maggiore Martini riuscì a fuggire. La signora con i due figli fu condotta a Firenze, a Villa Triste, la sede dei terribili interrogatori e delle torture perpetrate dalla famigerata "banda" del fascista repubblichino Mario Carità. Madre e figlia furono rinchiuse nel carcere femminile di Santa Verdiana e successivamente liberate con un audace colpo di mano dei partigiani. Marcello invece fu portato alla prigione delle Murate e, poi, nonostante la giovanissima età, trasferito al campo di transito di Fossoli vicino a Carpi e quindi, con il trasporto del 21 giugno 1944 a Mauthausen. Fu destinato al sottocampo di Wiener Neustadt e assegnato ai Cantieri della Rax Werke per lavorare come "chiodatore" nella costruzione dei battelli fluviali. Dopo essersi gravemente ferito al piede e aver contratto seri dolori reumatici fu trasferito nel campo di Modling, vicino a Vienna. I circa 1200 deportati di quel campo, tra cui anche Marcello, il 1 aprile 1945 furono incolonnati per il ritorno al "campo madre" di Mathausen. Dovettero subire lo strazio di una marcia estenuante che durò 6 giorni e solo due terzi arrivarono vivi a Mauthausen. Molti altri di quel gruppo morirono anche dopo per fame e per stenti oppure furono uccisi nelle camere a gas perchè non più in grado di lavorare. Marcello fortunatamente riuscì a sopravvivere e dopo la liberazione rientrò in Italia dovendo affrontare, a soli quindici anni, lunghe cure di riabilitazione. Si poi trasferito in Piemonte dove ha lavorato come dirigente di azienda e dove risiede tuttora.

Antonio Ceseri, soldato internato

E' nato a Firenze l'8 Gennaio 1924 da una famiglia con tradizioni antifasciste. Nel 1942 rispose alla chiamata alle armi nella Marina Militare. Fu di stanza prima a Pola e poi all'Arsenale di Venezia, dove fu sorpreso dalla notizia dell'armistizio l'8 settembre 1943. Il 9 settembre fu arrestato dai soldati tedeschi che occuparono l'Arsenale e incarcerato nella caserma di Mestre. Due giorni dopo, l'11 settembre, fu portato alla stazione della città e, stipato con i suoi compagni di reggimento in carri bestiame, trasportato al campo di lavoro di Hannover, dove arrivò dopo cinque giorni di viaggio. Durante il primo periodo di detenzione, Ceseri e gli altri internati militari non subirono particolari maltrattamenti e poterono contare anche su una regolare distribuzione del rancio. La situazione dei prigionieri mutò rapidamente verso la fine del settembre 1943, dopo che fu proposto loro di lasciare il campo in cambio dell'arruolamento nella Repubblica Sociale Italiana o nelle file dell'esercito nazista. Ceseri, così come altre migliaia di uomini nelle sue stesse condizioni, non accettò l'offerta e fu trasportato in un campo nei pressi di Treuenbrietzen, a circa settanta chilometri da Berlino. Il campo era circondato da filo spinato e i prigionieri erano sorvegliati costantemente: in un primo momento da militari della Wehrmacht, successivamente dalle SS. In questo campo la vita dei reclusi peggior notevolmente, sia a causa del poco cibo distribuito che del duro lavoro da svolgere in massacranti turni di dodici ore consecutive (una settimana di giorno, una di notte). Gli internati, inoltre, dovettero subire continue angherie perpetrate dai capisquadra civili addetti al controllo del loro lavoro, che divennero meno aggressivi soltanto con l'avvicinarsi della fine della guerra. La vita dei prigionieri non subì particolari cambiamenti fino al 21 Aprile 1945, giorno in cui il campo venne liberato dalle truppe sovietiche che avanzavano da est. In poco tempo, però , i nazisti riuscirono a riprendere il controllo della zona e tornarono immediatamente al campo, costringendo i detenuti ad abbandonarlo e a incolonnarsi verso una cava di sabbia poco distante. Quando la colonna arrivò all'altezza di un ponte ferroviario i nazisti salirono sui lati della strada, che era costeggiata da un terrapieno, e cominciarono a sparare dall'alto verso il basso, allo scopo di uccidere tutti i prigionieri. Quel giorno morirono 127 internati militari italiani. Riuscirono a scampare all'eccidio, riparandosi sotto i corpi trucidati dei compagni e completamente ricoperti di terra, soltanto quattro uomini. Tra di loro c'era anche Antonio Ceseri. Nei mesi successivi Ceseri e gli altri pochi superstiti del massacro di Treuenbrietzen procedettero all'identificazione dei caduti, svolgendo un formidabile lavoro per ricostruire una delle pagine più tristi della storia dei militari italiani internati nei lager tedeschi.

Marian Marzynski, un film verità sulla vita nel ghetto

E' nato in Polonia nel 1937 ed sopravvissuto alla Shoah. Nel 1940, a soli tre anni, viene rinchiuso nel ghetto con i genitori e gli altri 400.000 ebrei di Varsavia. Per due anni questo piccolo nucleo familiare assiste impotente alla deportazione di tutti i parenti nei campi di sterminio. Poi, i genitori riescono a far uscire il piccolo Marian dal ghetto e così, mentendo sull'identità, sfuggì alla morte per altri tre anni fino alla fine della guerra, nascosto prima presso alcune famiglie, poi in un orfanotrofio gestito da religiosi cristiani dove diventa un fervente bambino cattolico. Cinque anni di infanzia sottratta. Il padre viene ucciso dopo esser scappato da un trasporto che lo doveva portare in un campo di sterminio. La madre riesce a fuggire dal ghetto, sopravvive e ritrova il figlio a guerra finita dopo anni di separazione.

Marian Marzynski, diversamente da altri ebrei sopravvissuti, resta in Polonia dove lavora come giornalista, regista televisivo e giovane film maker di successo: tra i pionieri del "cinema della verità". Alla fine degli anni '60 le politiche antisemite della Polonia di Gomulka lo costringono all'emigrazione, prima in Danimarca e poi, a trentacinque anni, negli Stati Uniti.

Nel 1982 vincitore del Guggenheim Fellowship e, nel 1986 e nel 1990, di due Emmy Awards (premi alla migliore programmazione televisiva) per i suoi documentari. Alcuni dei suoi film come "Return to Poland" (1982) e "Jewish Mother" (1984), hanno appunto come tema la Shoah. Il film "Shtetl"(1996), tre ore, racconta un piccolo villaggio in Polonia dove per trecento anni, fino alla Shoah, ebrei e cristiani hanno vissuto insieme in pace ed è stato il lavoro più importante della sua carriera. Nel 2005 ha prodotto per la PBS "Frontline", "A Jew Among the Germans", la storia della costruzione, a Berlino, del grande memoriale sullo sterminio degli ebrei d'Europa.

"In never forget to lie" (2011), il film che sarà proiettato a Cracovia, il regista torna a Varsavia nei luoghi desolati dell'ex ghetto, quei pochi palazzi ancora rimasti nelle condizioni di allora, e indaga per la prima volta sulla sua infanzia violata al tempo di guerra. Nel suo viaggio a ritroso lo accompagnano altri bambini sopravvissuti, oramai anziani, che hanno vissuto esperienze altrettante traumatiche. Ne escono fuori angosce e ramificazioni complessi, i sentimenti del ghetto, la Polonia e la Chiesa cattolica.